Luca Russo è nato in Puglia e si è laureato in Giurisprudenza alla LUISS di Roma. Ma dal 1999 vive con sua moglie Laura nella casa famiglia “Fuori le mura” di Assisi. In tutti questi anni hanno fatto parte della loro vita persone disabili, bambini affetti da malattie neurologiche, detenuti, ragazze vittime della tratta.
«La nostra famiglia – spiega – è composta dalle due figlie biologiche, una che studia Infermieristica alla Cattolica di Roma e l’altra che lavora come OSS; due gemelli della Tanzania, uno che fa il cameriere l’altro lavora in un’azienda agricola; due sorelle di cui una ora è a Sulmona; un ragazzo in carrozzina che è con noi dal 99, e Federico, non vedente, con noi sempre dal 99; Agnese, una bimba adottata con microcefalia congenita, accolta quando aveva un mese e mezzo che adesso ha 10 anni; poi c’è un bimbo di 5 anni in affidamento con una patologia grave dovuta ad una sindrome rara. Da due anni anche i miei genitori vivono con noi perché la mamma ha 81 anni e ha il morbo di Parkinson e papà ha 88 anni».
Salvo poi precisare che «Io non ho accolto nessuno in vita mia, quello che stiamo vivendo da 25 anni non è altro che la condivisione della nostra vita. Quando parliamo di accogliere resta sempre quella antipatica separazione tra chi accoglie e chi è accolto, mi mette in una posizione di superiorità, del benefattore. Mi piace più dire che divido la vita con persone che hanno scelto di dividerla con la mia».
Una vita decisamente impegnativa che non gli ha impedito però di dare alle stampe un nuovo libro, il terzo con l’Editore Sempre: Sa amare chi sa perdere.
«Premetto che ogni libro può avere lettori inaspettati, a volte anche persone poco avvezze alla lettura. Ogni libro è per chi se lo ritrova tra le mani: un regalo di un amico, un periodo difficile della tua vita, una copertina intrigante… a volte inciampiamo in una lettura e poi non riusciamo a staccarci da quelle pagine e vorremmo non finissero mai».
«“Sa Amare chi sa Perdere” si rivolge soprattutto ai giovani. Il libro si rivolge in modo diretto al lettore cercando di tirarlo dentro al racconto, interpellandolo personalmente. Entro in confidenza con chi sta leggendo, gli do del “tu”. Parlo a lui, al lettore e non in astratto ad un pubblico distante e ipotetico. Il testo del libro usa molte immagini e metafore per interessare il lettore, affascinarlo con il linguaggio simbolico che è più trasversale tra le generazioni sperando di arrivare sia ai giovani che ai più adulti, così come potrebbe arrivare sia ai lettori incalliti che a quelli più refrattari alla lettura. Non solo. Alcuni passaggi del libro hanno la pretesa di cogliere il lettore in un tempo preciso della sua vita: quando molte cose perdono senso, o quando lo scorrere dei giorni diventa una minestra tiepida e insapore, quando le scelte fatte ci buttano giù di morale e ci sembra di non avere le forze per risollevarci. In questi frangenti “Sa amare chi sa Perdere” è una lettura consigliata.
«Uno autore scrive per mille motivi. Io solitamente scrivo per colmare un vuoto o per abbondanza di emozioni. Le righe scritte per i miei vuoti, le tengo per me; le pagine dell’abbondanza diventano libri. Le storie di vita, in particolare le storie più fragili, la debolezza umana, la vulnerabilità dei piccoli, dei calpestati, degli ultimi, mi smuovono le viscere, mi muovono a compassione. Le vite a perdere, gli scarti sociali, le storie inutili risvegliano in me un bisogno di raccontare a cui non riesco a sottrarmi».
«Ho imparato molte più cose dai poveri che dai potenti. La mia stessa vita è stata resa bella dai piccoli e non dai grandi. Di qui nasce l’abbondanza. La voglia di raccontare i prodigi che nascono dalle storie dimenticate dal mondo. Io vorrei invece che il mondo le conoscesse. E allora scrivo».
«Non saprei immaginare un libro che non nasconda in filigrana alcuni tratti di vita di chi scrive. Ogni opera nasconde e manifesta l’autore. Anche tra le trame in questo libro si celano inevitabilmente le trame di alcuni momenti della mia storia. Ho scelto di stare sul marciapiede dei perdenti. C’è stato un momento in cui avrei potuto, anzi dovuto, salire sul carro dei migliori, dei ricchi, degli uomini di successo, e invece mi sono fatto sedurre dallo sguardo tenerissimo dei bambini soli, degli sfigati, delle persone perse. Sandra Sabattini direbbe: “Mi sono spezzata le ossa ma quella è gente che io non abbandonerò mai”. C’è stato un momento in cui anch’io, in cuor mio ho detto quella frase e così ho fatto. I poveri sono parte di me e quando scrivo di loro non faccio altro che parlare di me stesso, pover’uomo anch’io».