Foto di Alessandro Di Meo
Il degrado di alcuni componenti del popolo rom non giustifica le nuove disposizioni che rischiano di aumentare il numero delle mamme con figli in carcere.
Il 17 novembre è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Pacchetto Sicurezza.
Queste disposizioni rendono non più obbligatorio ma facoltativo il rinvio dell'esecuzione della pena per le donne condannate, in stato di gravidanza o con figli minori di 3 anni.
Può sembrare un provvedimento che va a colpire, ancora una volta, gli ultimi tra gli ultimi e, in questo caso, le ultime per eccellenza, le donne rom (romnja).
È fondamentale chiarire un fattore molto importante ma sconosciuto, a quanto pare, all'opinione pubblica. È importante distinguere tra cultura e degrado, senza assimilare i due concetti in maniera fuorviante e pericolosa.
Il popolo rom è portatore di una cultura antica, meravigliosa, di derivazione orientale e tra i suoi valori assolutamente non trovano posto gli atti delinquenziali che vediamo compiere da alcuni suoi appartenenti.
In Italia si contano circa 180.000 rom dei quali più del 90% vive una piena integrazione mentre una minima parte appartiene alla fascia emarginata ed esclusa. Eppure questa percentuale minima sembra eletta dai media a rappresentare un popolo intero.
Questo per due motivi principali: il primo, e il più rilevante, è che i rom integrati molto spesso tendono a nascondere la loro origine etnica per paura del pregiudizio che è ancora molto vivo in Italia. Il secondo è che, molto banalmente, l'onesto non fa notizia diversamente da chi compie reati. Viviamo in una grande confusione mediatica rispetto a questo argomento.
Le donne rom delinquono per degrado
Queste donne delinquono di conseguenza alla loro condizione di degrado ed emarginazione, ma non delinquono per cultura.
Prima del “Pacchetto Sicurezza,” molte donne rimandavano soltanto il momento di espiazione della pena ed essendo spesso recidive vedevano, negli anni, aumentare il cumulo dei reati che, a un certo punto, avrebbero comunque scontato in carcere, trovandosi di fronte a pene lunghissime.
Quindi, non solo povertà, esclusione sociale e degrado ma anche, a coronamento, la prospettiva di trascorrere lunghi anni in carcere, una vola cresciuti i figli.
Dal 2008 mi occupo del popolo rom e dal 2019 sono responsabile di una casa di accoglienza per nuclei familiari. Tra questi ci sono anche nuclei composti da madri detenute (che lo sono o che lo sono state) con figli.
Il carcere è una scuola di criminalità, con la prospettiva di recidiva del 75%. Non è la soluzione.
I nostri percorsi permettono di rimuovere le cause che generano emarginazione e ingiustizie, affinché l'inclusione sia piena ed efficace.
Per farcela, queste madri, devono scegliere il percorso proposto con consapevolezza ed impegnarsi a fondo. I risultati arrivano, a dimostrazione che un’altra via è possibile.