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28 Maggio 2023
Ultima modifica: 29 Maggio 2023 ore 19:02

Matteo Fadda è il nuovo responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII

50 anni, torinese. È stato eletto al secondo turno con il 60% delle preferenze durante l'Assemblea generale a Rimini il 28 maggio 2023.
Matteo Fadda è il nuovo responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII
Foto di Riccardo Ghinelli
Da senior developer a padre di 4 figli naturali e di tanti figli accolti assieme alla moglie Carla Daviso. Ora gli viene affidata una famiglia estesa in 42 Paesi del mondo. Ecco quello che ci ha raccontato della sua storia.

È Matteo Fadda, 50 anni, torinese, il nuovo responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il terzo nella storia della Comunità, dopo il fondatore don Oreste Benzi e Giovanni Paolo Ramonda che l’ha guidata per 15 anni dalla morte di don Oreste Benzi fino ad oggi.

Visibilmente commosso Matteo Fadda è stato accolto dall'assemblea con un grande applauso. Non è un ruolo facile quello che lo aspetta,  ma è una disponibilità che ha deciso di dare con il sostegno della moglie Carla Daviso che con lui condivide la scelta della Comunità e dell'accoglienza di chi si trova nel bisogno.

«Diciamo di sì - ha detto accompagnato dalla moglie Carla e da due dei numerosi figli della loro famiglia aperta - nella speranza che diciamo di sì tutti». E poi ha sottolineato: «Cerchiamo di volerci bene». 

Fadda è stato eletto all’Assemblea generale a Rimini domenica 28 maggio 2023 al secondo turno con il 60% dei voti: 122 preferenze su un totale di 203 delegati presenti, in rappresentanza di tutti i membri dell'Associazione in Italia e in 42 altri Paesi del mondo, che hanno seguito l'assemblea via streaming.

Il nuovo eletto sarà in carica per 5 anni e potrà essere rieletto solo per un altro mandato della stessa durata, secondo quanto stabilito dal Decreto dell’11 giugno 2021 voluto da Papa Francesco che fissa nuove regole per le associazioni internazionali riconosciute dalla Santa Sede.

 

Matteo Fadda. Chi è il nuovo responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII?

Matteo Fadda è nato l'1 febbraio 1973. Sposato con Carla Daviso e padre di 4 figli è in Comunità dal 2005. La Papa Giovanni XXIII l'ha conosciuta grazie all’affido familiare. È cresciuto nella città di Torino, in una famiglia numerosa con altri tre fratelli e piena di stimoli. La madre insegnante di educazione artistica e il padre docente universitario di Urbanistica.

Si è formato a livello spirituale alla scuola di padre Gasparino, attivo in quella zona. L’incontro con don Oreste Benzi, che considera un grande testimone di fede vissuta, non ha fatto altro che confermare le scelte di apertura alla vita che lui e la moglie stavano meditando.

Matteo e Carla si sposano nel 1999. L’amore sboccia tra le mura della parrocchia dove frequentavano lo stesso gruppo prima come "animati" e poi come animatori.

Durante il loro percorso di coppia maturano l’idea che una vita insieme fatta di lavoro, figli, vacanze, hobby e volontariato, per loro non è sufficiente. C’è una forte tensione ad essere una coppia cristiana, con il desiderio di moltiplicare il loro amore, ma ancora non sanno come.

Matteo Fadda con la moglie Carla


Nel 2001 Fadda si laurea in Filosofia all’Università di Torino, ma già da qualche anno lavora nel settore informatico che in quel periodo è in forte espansione.
 

Matteo, dallo studio della filosofia all’informatica. Come è stato questo passaggio? Dipende forse dal fatto che in entrambi gli orientamenti si cerca di trovare delle risposte?

«In realtà sono materie molto vicine. Lo studio della filosofia nasce dall’amore per questa materia, l’informatica è arrivata per vicende umane in maniera apparentemente fortuita. Ho fatto il liceo classico, poi nel 1994 ho iniziato Filosofia, ma nel frattempo ho deciso di svolgere il servizio civile alternativo al militare, allora c’era ancora la leva obbligatoria. Nel 1995 ho risposto all’annuncio di una azienda, era un momento di forte rivoluzione informatica: il computer da terminale diventava personal computer, una trasformazione spinta dalla Microsoft di Bill Gates. La Fiat era una grossa azienda del territorio e ha intuito che bisognava adeguarsi. Ha messo insieme degli studenti di facoltà umanistiche, li ha preparati ed è così che per 10 anni, mentre studiavo, ho insegnato informatica agli impiegati della Fiat. Nel frattempo ho preso le certificazioni Microsoft e sono diventato un developer.»

Come vi siete conosciuti tu e Carla?

«Ci siamo conosciuti a 15 anni in parrocchia, fidanzati a 19 e sposati a 26.»

Non avete perso tempo. E poi quattro figli naturali

«A Dicembre 2000 è nato il primo figlio, poi sono arrivati tutti uno dietro l’altro. 2002, 2004, uno in cielo, 2009 l’ultimo.»

Una famiglia già aperta ai figli. Ma non vi bastava?

«È tutta colpa di mia moglie, anzi... è tutto merito di mia moglie. Carla faceva la segretaria di direzione in una azienda che si occupava di turismo, e si è licenziata quando il secondo figlio era ancora piccolo, perché progettavamo di ampliare la famiglia, anche se non avevamo ancora chiaro come.»

Cosa cercavate?

«Siamo stati attirati dal manifesto di un corso gestito dal comune di Torino che intorno agli anni 2000 faceva campagne di informazione sull’affidamento famigliare. Ma non ci ha coinvolto molto, perché lo abbiamo sentito asettico. La svolta è avvenuta quando abbiamo partecipato ad un corso della Papa Giovanni e da lì si è creato un legame particolare con famiglie che avevano già degli affidi in corso. Gli incontri di auto mutuo aiuto, l'incontro con Ivana Conterno che guidava la Papa Giovanni del territorio torinese sono stati importanti. Un paio di volte è venuto a parlare don Oreste a Torino con il quale ci siamo sentiti in sintonia.»

Cosa vi ha colpito dell’incontro con la Papa Giovanni?

«Siamo stati attirati soprattutto dal vedere famiglie che si aprivano all’accoglienza. Così è iniziato un percorso. Nel 2005 abbiamo cominciato il "periodo di verifica vocazionale" all’interno della Comunità e nel 2008 il primo affido. In famiglia è arrivata una ragazzina di 16 anni incinta, poi un’adolescente con problemi di anoressia, poi alcune accoglienze di emergenza di ragazze liberate dalla strada. Accoglienze complicate.»

Matteo Fadda e famiglia

La scelta di moltiplicare l'amore

Non vi siete scoraggiati di fronte a queste difficoltà?

«Sono state accoglienze difficili ma brevi e questo ci tranquillizzava, perché c’era già un progetto su di loro. Poi è arrivato un bambino di 4 anni e lì c’è stata una vera esperienza di affido a lungo termine che ci ha fatto vivere fino in fondo l’amore donato.»

Dove vi ha portati questa scelta di appartenenza alla Comunità?

«Sentivamo che questa vita non era solo nostra, era come se fossimo guidati. Nel 2008 cercavamo una casa più grande, per poterci aprire ancora di più all’accoglienza, ma senza esito positivo nonostante varie ipotesi. Finché nel 2011 la diocesi di Ivrea ci ha offerto una casa a San Giorgio Canavese. Così siamo passati da Torino a un paese in cui gli abitanti sono un decimo degli abitanti del quartiere dove abitavamo prima.»

Un bel cambiamento radicale. Come l’hanno preso i vostri ragazzi?

«Ci siamo sentiti degli extraterrestri, noi e anche i nostri figli. I più grandi, in piena preadolescenza, hanno avuto difficoltà.  Anche per i nostri genitori è stato difficile accettare questa scelta.»

Ora come la pensano?

«Le cose sono cambiate quando hanno visto ciò che facevamo. I miei, che sono molto attenti sul piano culturale, hanno cambiato atteggiamento quando hanno capito tutto quello che l'Apg23 porta avanti sul piano della giustizia. I genitori di mia moglie, avendo un figlio tetraplegico grave, hanno colto lo stile della Papa Giovanni sulla disabilità. Questo ci ha unito. Ora il fratello di mia moglie vive con noi. Poi è arrivato anche Nicola.»

Cosa è successo?

«Mentre eravamo in vacanza è arrivata la richiesta di accogliere un bambino down, Nicola, appunto, che aveva 5 mesi, con un difetto cardiaco e intestinale. Arrivato a Ottobre 2015, a novembre è entrato in ospedale e ne siamo usciti ad agosto nel 2016.»

Un caso che sembra a dir poco disperato

«Per mesi abbiamo vissuto da reclusi, turnandoci io e mia moglie in ospedale. In totale Nicola ha subito 13 interventi chirurgici. Oggi va all’asilo. Cammina, ha ammiratori, non ne possiamo fare a meno. È stato un periodo molto difficile, che però ci ha unito come coppia.»


La vita di condivisione ti aiuta a capire cosa è superficiale, per cui vi puoi rinunciare, e cosa invece è sostanziale
Matteo Fadda

Una esperienza che consigli ad una coppia?

«Quello che faccio lo posso fare solo perché il rapporto con Carla è solido, ci sosteniamo a vicenda. È un amore che abbiamo costruito, all’inizio non era così. La vita di condivisione ti aiuta a capire cosa è superficiale, per cui vi puoi rinunciare, e cosa invece è sostanziale. Noi possiamo dire che quello che abbiamo vissuto ci ha aiutato. Però abbiamo avuto sempre chiaro che la coppia e la famiglia per noi sono al primo posto.»

Le cose che contano per Matteo Fadda

Avete fatto una classifica delle cose importanti?

«Al primo posto la famiglia, al secondo Dio, il lavoro l'ho sempre messo al terzo posto. Ho avuto due offerte di carriera lavorativa per diventare dirigente, ma le ho rifiutate perché andavano contro queste mie priorità.»
 

Poi però sono arrivate proposte di “carriera” in Comunità

«Quelle non le puoi rifiutare perché arrivano direttamente da Dio. C’è questa fede nel fatto che le cose che si scelgono sono ispirate dallo Spirito Santo. Anche venire qui in questo Paese, è stato un atto di fede.»

Che incarichi hai avuto in Comunità?

«Nel 2016 responsabile della Zona Torino-Liguria. Nel 2020 responsabile di Operazione Colomba, il corpo civile non violento di pace della Comunità. 2021 presidente della ONG Condivisione fra i popoli. Nel frattempo nel 2020 mi sono licenziato dal lavoro precedente e ora sono a tempo pieno in Comunità.»

Una famiglia che pensa al "per sempre"

Una famiglia impegnativa, tanti incarichi. Come riesci a destreggiarti in tutto?

«La mia aspirazione era di fare famiglia con Carla, poi di fare famiglia allargata con lei. Per vivere questo serve anche disponibilità di tempo. Vivo questi incarichi come impegni a tempo, faccio un pezzo di strada nella consapevolezza che poi la cosa passerà ad altri.»
 

Quali strategie usi?

«Ho ridotto alcune cose che facevo a livello personale, ho ridotto le ore di sonno, ma cerco di stare attento alla relazione con Carla, ci prendiamo anche dei momenti solo di coppia. Andare via assieme per dei giorni è più difficile, ci vuole una equipe di persone che ci sostituisca, ma recentemente ci siamo riusciti ed è stato molto bello. Ho intensificato molto la preghiera, rispetto ad una volta.»

Sembra una vita di grande sacrificio

«Ma scusa, un operaio che fa tre turni e magari ha 4 figli; o un medico che fa i turni in ospedale? L’unica differenza forse è che noi non andiamo mai in ferie.»
 

Come definiresti la tua famiglia oggi?

«Io e Carla cerchiamo di volerci bene, di volere bene ai nostri figli e che si vogliano bene tra loro e voler bene agli accolti. Direi che siamo una famiglia cristiana, un tempo forse un po’ chiusa, oggi più aperta, ma sempre una famiglia che pensa al “per sempre” e questo oggi è una bella sfida».