«Ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero».
Con queste parole,Oliviero Toscani, noto fotografo milanese, si congeda dal mondo.
Toscani è morto il 13 gennaio 2025 all'età di 82 anni all'ospedale di Cecina, dove era ricoverato dal 10 gennaio a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute. Da due anni lottava contro l'amiloidosi, una malattia che gli aveva fatto perdere 40 chili e alterato il sapore del vino a causa dei farmaci, come aveva rivelato in un'intervista al Corriere della Sera il 28 agosto.
Il fotografo ha sempre sostenuto che «non è un'immagine che ti fa la storia, è una scelta etica, estetica, politica da fare con il proprio lavoro».
Oliviero Toscani è nato a Milano il 28 febbraio del 1942. Era figlio del primo fotoreporter del Corriere della Sera e ha studiato fotografia e grafica all’Università delle Arti di Zurigo dal 1961 al 1965. Conosciuto internazionalmente come forza creativa dietro importanti giornali e marchi del mondo, è stato creatore di immagini corporate e campagne pubblicitarie per Esprit, Chanel, Robe di Kappa, Fiorucci, Prenatal, Jesus, Inter, Snai, Toyota, Ministero del Lavoro, della Salute, Artemide, Woolworth e altri. Ha lavorato a progetti in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Salute, con la Regione Calabria, con la Fondazione Umberto Veronesi, e alcune campagne di interesse e impegno sociale dedicate alla sicurezza stradale, all’anoressia, alla violenza contro le donne, e contro il randagismo.
Dal 1982 al 2000 ha trasformato United Colors of Benetton, in uno dei marchi più conosciuti al mondo. Ha fatto nascere Colors, un magazine globale, e Fabrica, centro di ricerca di creatività nella comunicazione moderna. Ha insegnato comunicazione visiva in svariate università e ha scritto diversi libri sulla comunicazione. Ha esposto alla Biennale di Venezia, a San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano e nei musei d’arte moderna e contemporanea di tutto il mondo. Ha vinto numerosi premi tra cui 4 Leoni d’Oro e il Gran Premio dell’UNESCO.
Lo abbiamo intervistato nel 2015 in occasione dell’uscita del suo libro Magnifici fallimenti, in cui faceva un bilancio dei suoi 50 anni di lavoro.
Un’occasione per parlare non solo della sua arte ma anche di anima, del suo rapporto con la fede. Ecco come è andata.
Quando penso a Oliviero Toscani mi viene in mente: provocatore, irriverente, dissacrante. E perché no, anche contraddittorio. Una fama che si è guadagnata con i suoi scatti e con le campagne create per grandi marchi.
Chi non ricorda l'immagine ideata nel '73 per Jesus Jeans, in cui, su un “lato b” strizzato in un paio di shorts, si ergeva il versetto evangelico: «Chi mi ama mi segua»? E quella per Benetton, ritirata nel '91, del bacio sfiorato fra un prete e una suora, che ha scelto come copertina del suo libro, Magnifici fallimenti (2015) summa dei suoi 50 anni di lavoro. E poi le immagini animaliste del '96. Per prendere in giro le signore impellicciate immortala un'oca avvolta da una pelliccia. O contro il razzismo: tre cuori su cui sta scritto: white, black, yellow, ma sono tutti perfettamente uguali.
È stato accusato di sfruttare intenzionalmente metodi pubblicitari di shockvertising.
Certo è che i suoi lavori non passano inosservati. Immagini forti che scuotono lo spettatore. Scatti pubblicitari che diventano occasione per richiamare l'attenzione su drammi sociali come l'anoressia, la fame nel mondo, la pena di morte.
Emerge un fotografo che non si accontenta di ciò che appare, ma vuole scavare e andare oltre il comune ben pensare.
Oliviero Toscani è un figlio d'arte. Suo padre Fedele è stato il primo fotoreporter del Corriere della Sera. È sua la mitica foto che ritrae Indro Montanelli seduto su una pila di giornali, mentre batte l'articolo con l'immancabile Olivetti Lettera 22 sulle ginocchia.
Definirlo fotografo è riduttivo. Ha scritto libri, organizzato mostre, prodotto programmi televisivi, ricevuto premi, creato ambienti educativi per i giovani, sviluppato progetti dedicati all'ambiente.
Che non fosse un tipo facile da trattare, me lo ero immaginata. Chiacchierando al telefono mi ricorda una simpatica canaglia, anche se oramai ha 73 anni suonati. Maestro di provocazioni non mi perdo d'animo se da subito comincia ad incalzarmi con le sue risposte “scorrette”.
«Ognuno può avere la sua opinione. Per qualcuno questo è molto importante, per me non lo è».
«Tutti i lavori potrebbero essere fatti meglio».
«No. È che uno guarda indietro. E rivedendo i lavori fatti dice: “Sì, sì, bene. Ma avrei potuto non farmi influenzare dalle critiche, non avrei dovuto aver paura di tante cose”. Guardando indietro nella vita, se uno è fortunato può dire che è stato un magnifico fallimento. Tutte le grandi opere sono magnifici fallimenti. Del resto anche la religione cattolica non è un magnifico fallimento?».
«Mi ha insegnato l'onestà, l'impegno».
È stato un percorso naturale diventare fotografo?
«Come un figlio di bottega, ho imparato un mestiere, io sono un artigiano. Non sono particolarmente attaccato al mestiere del fotografo, alla tecnologia della fotografia. Quello che mi interessa è che con la fotografia si possano raccontare delle storie».
«Perché: provocare è una brutta parola?»
«Racconto con le immagini, che non hanno bisogno di una traduzione. La fotografia è la memoria storica dell'umanità».
«La fotografia riesce a registrare anche l'intangibile come l'anima».
«È la vita. È un'anima molto laica, per questo molto lucida. Non è influenzata da nessun dio, da nessuna maglia da fanatico, non appartengo a nessuna a squadra di calcio».
Recentemente si è visto ad Assisi, al Sacro Convento. “Avvenire” del suo dialogo ha riportato: «Qualcuno potrebbe pensare che sono qui ad Assisi perché con l’età comincio ad avere preoccupazione per la morte. Ma io non ho dubbi, in Paradiso ci vado sicuramente». Ne è proprio sicuro?
Ride: «Io ci vado. Voi credete al Paradiso, ed io ci vado in Paradiso se c'è».
Non pensa che ci sia bisogno di credere in qualcosa?
«Quando si ha poca fantasia si crede a qualcosa che è già confezionato. Io credo ma non credo così. Non è che il bello è solo nelle cose che ti dicono che sono belle. Solo gli stupidi vedono il bello solamente nelle cose belle».
«Non è vero. Il bello c'è anche nella tragedia. Guardi la “Pietà” di Michelangelo».
«Dopo 2000 anni è arrivato uno che dice le cose più normali. Finalmente la Chiesa ci è arrivata. Ma che cosa ha fatto fino adesso?».
«Sì. Ma non mi sembra che venga messo in pratica veramente, all'infuori di pochi».
«Ma lui era un freak. Era fuori dal sistema e soprattutto poteva permetterselo perché è nato ricchissimo».
«Certo. Quando sai cosa significa essere ricchi, che non è un segno di felicità e di elevatura umana, non vuoi più essere ricco».
«È più facile per un ricco diventare povero che per un povero diventare ricco».
«Logico. Perché l'essere umano è imperfetto. Il paesaggio, la natura è perfetta, perciò è abbastanza noiosa a livello creativo. Mentre un essere umano con tutte le problematiche, il travaglio di essere umano, è molto più interessante».
«Fanno delle foto. Tutti sanno scrivere, anche il macellaio, il portinaio, scrivono, ma non per questo sono scrittori».
«Cosa vuol dire?»
«No, no. Sono proprio buono perché provoco. Sono i cattivi che non provocano. Sono gli ipocriti che sono cattivi, quelli che fanno sorridere, che dicono che tutto va bene. Ma chi l'ha detto che provocare non va bene? Lei crede in Gesù Cristo? Caspita, più provocatore di quello lì chi c'è? “In verità, in verità vi dico: io sono figlio di Dio”… ma pensa che presuntuoso provocatore… mamma mia!».
«È logico, bisogna documentare tutto quello che succede. Così ci rendiamo conto».
«Penso che i bambini sono morti. Non mi interessa la fotografia, ma mi ha fatto vedere che succedono queste cose, che l'essere umano riesce a fare queste cose. Dobbiamo riflettere sull'essere umano e non sul bambino morto. Ci interessa capire e la fotografia è la memoria storica del comportamento umano».
«Gli viene data la possibilità di vedere meglio, di capire meglio per avere un mondo migliore in futuro. Loro sono il futuro del mondo. È più interessante stare con loro che con i vecchi. C'è più incoscienza. Poi ci vorrebbe più coraggio, più voglia, più energia per scoprire cose nuove, per sperimentare e ricercare».
«Un testimone del suo tempo».
E prima di congedarci mi dice sorridendo: «Ci vediamo in Paradiso».