«Perché dovrei rigettare la religione cristiana, che è quella vera, solo per il fatto che viene da fuori?»
Nacque a Mahyan nel 1795. Nel 1801 suo padre Agostino e il fratello Carlo subirono il martirio, mentre sua madre Cecilia, la sorella Elisabetta e Paolo furono imprigionati e privati di ogni bene. Paolo partì almeno 15 volte da Seul alla volta di Pechino in difficilissimi viaggi a piedi, per ricevere i sacramenti e implorare l'invio di sacerdoti presso la comunità cristiana nata in Corea. Per merito suo arrivarono i primi sacerdoti e il primo vescovo, Lorenzo Imbert, il quale lo prese nella sua casa insieme alla madre e alla sorella. Mentre infuriava la persecuzione contro i cristiani, un apostata tradì Paolo che fu incarcerato. Dopo averlo sottoposto a torture insopportabili senza ottenere l'abiura, venne decapitato il 22 settembre 1839. Dopo alcuni mesi la madre Cecilia, settantanovenne, veniva incarcerata e moriva di stenti, mentre la sorella Elisabetta di 43 anni veniva decapitata. Nel 1984 Giovanni Paolo II ha iscritto i martiri coreani nel calendario dei santi e la loro memoria si celebra il 20 settembre.
Un laico che testimoniò fino al martirio
La Chiesa coreana, sorta nella seconda metà del Settecento, ha la caratteristica unica di essere stata fondata e sostenuta da laici. Uno di questi, Lee Byeok, ispirandosi al libro “La vera dottrina di Dio” del famoso missionario gesuita Matteo Ricci fondò una prima comunità cristiana molto attiva, ma senza sacerdoti. Paolo Chong Hasang contribuì a far arrivare sacerdoti e vescovi in questo Paese, nel quale nel frattempo si era scatenata una persecuzione contro i cristiani.
Si arrivò perfino all'ordine di sterminio dei cristiani quando nel 1802 il re emanò un editto che divenne legge di stato: «Non trovando alcun mezzo per far cambiar idea ai cristiani, bisogna assolutamente farli morire per distruggere il germe della loro follia». L’uguaglianza di tutte le persone, sostenuta dalla fede cristiana, si scontrava con l'etica patriarcale feudale dell’ultima dinastia coreana.
Prima di essere decapitato, Paolo subì questo interrogatorio: «È vero che hai abbandonato le tradizioni della Corea per praticare una dottrina straniera e che trascini in essa anche altri?». Paolo rispose: «Se noi accettiamo dall’estero oggetti utili al nostro uso, perché io dovrei rigettare la religione cristiana, che è quella vera, per il solo fatto che viene da fuori?». E il giudice: «Se tu esalti una religione straniera, pretendi che il re e i mandarini siano in colpa perché la proibiscono!». E Paolo: «A queste parole non ho nulla da obiettare. Devo solo morire».
Nelle persecuzioni anti-cristiane che hanno attraversato la Corea per più di un secolo sono morti circa 10mila martiri. Essi erano uomini e donne, giovani ed anziani, colti e analfabeti, uniti dalla fede comune e dal desiderio di testimoniare la chiamata di Dio a tutti i popoli. Ora questa Chiesa conta 5 milioni di fedeli. Nessun cattolico coreano nutre alcun dubbio che il costante aumento di conversioni e le molte vocazioni sacerdotali e religiose siano il frutto del sangue sparso dai molti martiri, tra i quali è annoverato anche Paolo.