In Italia vengono avviati al riciclo il 43,5% degli imballaggi raccolti. Ma solo il 60% di questi vengono effettivamente riciclati.
In uno spot tv si vede l’inviato di Striscia la notizia - noto programma televisivo di Canale 5 - e biker Vittorio Brumotti su uno sperone di roccia che beve acqua in bottiglia. Lo spot è girato sulle Alpi Orobie e la prima cosa che viene da chiedersi è «perché una bottiglia d’acqua... di plastica?».
L’immagine stona (in montagna è più facile vedere una borraccia) ma lo spot vuole celebrare l’impegno ambientale di una nota marca di acque minerali, in particolare sponsorizzando la bottiglia di plastica composta al 50% da materiale riciclato.
Il messaggio è chiaro: la plastica non è nemica dell’ambiente, l’importante è applicare la raccolta differenziata e riciclare. Ma davvero basta questo per evitare l’annoso problema della plastica dispersa nell’ambiente?
QUANTO SI RICICLA?
Se guardiamo in faccia la realtà, ovvero i numeri, dobbiamo ammettere che la plastica è un problema ingombrante e che il riciclo, da solo, non può bastare. Secondo
un’analisi del 2018 condotta dalla Royal Statistical Society (una delle più prestigiose organizzazioni statistiche al mondo), infatti, solo il 9% di tutta la plastica prodotta finora è stata riciclata.
Vero è che negli ultimi anni
le cose sono migliorate: in Europa, dove si producono circa 25,8 milioni di tonnellate di plastica l’anno, il 30% dei rifiuti in plastica viene avviato al riciclo.
Riciclare i rifiuti di plastica di tutto il mondo significherebbe conseguire un risparmio energetico annuale pari a 3,5 miliardi di barili di petrolio.
Riciclare 1 milione di tonnellate di plastica è come avere 1 milione di automobili in meno per strada.
Ma allora perché non ne ricicliamo di più?
TROPPA PLASTICA NON RICICLABILE
C’è una distinzione da fare: un conto è avviare al riciclo e un conto è riciclare per davvero. Secondo
Corepla, il consorzio italiano per il recupero degli imballaggi in plastica, in Italia vengono avviati al riciclo il 43,5% degli imballaggi raccolti. Però solo il 60% di questi vengono effettivamente riciclati.
Dobbiamo considerare che la quantità di materia Prima Seconda ottenibile da 1 chilogrammo di rifiuti di plastica varia a seconda della plastica di partenza (nei casi migliori si va dal 70 al 90% circa) ma non tutte le plastiche sono attualmente riciclabili.
Tra gli imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali, abbiamo imballaggi quali astucci, scatole, barattoli, vasetti, cassette in materiale espanso, grucce, blister, bottiglie in PET opache e con etichette coprenti, stoviglie monouso, secchi, tubetti, vaschette, vassoi, nastro adesivo, pellicole, sacchi a rete, poliaccoppiati a prevalenza di plastica, capsule del caffè e tanto altro ancora.
Difficile stabilire quanto sia la percentuale rappresentata dalla plastica in commercio non riciclabile ma incrociando diverse fonti possiamo dire che si tratta di circa la metà del totale della plastica prodotta. A dimostrarlo, le
percentuali di poliolefine immesse sul mercato: questo tipo di plastica compone la maggior parte degli imballaggi non riciclabili e nel 2013 rappresentava il 62% della produzione globale di materie plastiche. Vero è che il riciclo degli imballaggi in plastica in generale è cresciuto almeno del 75% tra il 2006 e il 2016 (fonte Corepla) ma è altrettanto aumentato (+71%) il loro incenerimento.
Ricapitolando, in Italia, secondo i dati Corepla, di tutti gli imballaggi in plastica immessi al consumo, solo poco più di 4 su 10 vengono effettivamente riciclati, 4 invece vengono bruciati negli inceneritori – pratica che, come ci ricorda il report redatto dalla Scuola Agraria del Parco di Monza per conto di Greenpeace, è tutt’altro che priva di conseguenze negative per l’ambiente e considerata come extrema ratio nella gestione dei rifiuti nell’ambito dell’economia circolare – e i restanti immessi in discarica o dispersi nell’ambiente.
LA PLASTICA RICICLATA PARTE IN SVANTAGGIO
Secondo il
dossier sulla Plastic Strategy della Commissione Europea del 2018, la richiesta di plastica riciclata al giorno d’oggi riguarda solo il 6% del totale del consumo di plastica in Europa. Questo succede perché la plastica vergine, prodotta da combustibili fossili, è economicamente molto più conveniente rispetto a quella riciclata. Se da una parte è difficile fare un confronto numerico, poiché il costo della vergine segue le oscillazioni del petrolio e quindi il gap è molto variabile, dall’altra è l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) a delineare due ordini di motivazioni per descrivere questo squilibrio.
La prima motivazione è di carattere tecnico: molti polimeri hanno spesso additivi che possono contaminare l’ambiente e quindi sono difficili da gestire e separare in fase di riciclo. Di conseguenza, l’incertezza legata agli standard di qualità e sicurezza fa sì che molte aziende produttrici temano che la plastica riciclata non possa rispondere alla loro esigenza di disporre di volumi elevati di materiale affidabile con specifiche costanti.
La seconda motivazione è invece di tipo economico. Come documenta l’Ocse, infatti, il settore del riciclo è più piccolo e frammentato rispetto all’industria del petrolio e il riciclo della plastica è spesso affidato a piccole strutture prevalentemente regionali, il che produce un effettivo svantaggio in termini di economie di scala e capacità di assorbire gli shock di mercato, come quando la Cina ha chiuso le importazioni di plastica dall’estero (la Cina aveva rappresentato circa i due terzi delle importazioni di rifiuti di plastica nell'ultimo decennio) dimostrando come la gran parte del mercato globale dei rifiuti fosse concentrato in pochi paesi.
RACCOLTA DIFFERENZIATA: NON ABBANDONIAMOLA!
Sebbene negli ultimi 20 anni sia aumentata notevolmente la percentuale di rifiuti di imballaggio intercettata attraverso la raccolta differenziata e nonostante lo sviluppo di un sistema industriale di trattamento e riciclo, «non vi è evidenza di un impatto significativo sulla riduzione della produzione di rifiuti, sul miglioramento della riciclabilità degli imballaggi immessi sul mercato (design for recycling) e sulla diffusione di sistemi basati sull’utilizzo di imballaggi riutilizzabili». A dirlo è il Laboratorio REF Ricerche, che ha firmato lo studio
Epr – Imballaggi: la copertura dei costi.
Questo non significa che sia il caso di abbandonare la raccolta differenziata della plastica e di smantellare la filiera del riciclo, perché una parte della plastica viene riciclata, alleggerendo l’impatto sull’ambiente, evitando che tonnellate di rifiuti finiscano negli inceneritori e nelle discariche (e da lì disperse nell’ambiente). Ma allo stesso tempo non dobbiamo illuderci che così facendo abbiamo salvato il pianeta: l’immissione di plastica nella società deve ridursi. E se questa spinta non arriva dal mercato, deve arrivare da noi consumatori.