Non si può nemmeno immaginare il grande disagio, la solitudine e la sofferenza vissuta da tutte quelle coppie che si trovano a fronteggiare in gravidanza una diagnosi infausta del proprio bambino. Purtroppo tali condizioni patologiche vengono indirizzate solitamente verso l’interruzione di gravidanza che rappresenta la soluzione più rapida e forse anche più economica di risolvere un problema per il quale non esistono sufficienti percorsi assistenziali specifici per l’accoglienza e la cura di questi bambini, delle mamme e dell’intero nucleo famigliare. L’illusione è che eliminare il sofferente significhi eliminare anche la sofferenza dei genitori e delle famiglie che si trovano a vivere questo dramma.
Si può parlare di un vuoto legislativo che va a discriminare quei genitori che non vogliono interrompere la gravidanza, ma vogliono invece amare il proprio figlio fragile, curarlo se possibile, o accompagnarlo fino alla fine in caso di patologie per le quali non esistano cure efficaci. Da qui l’enorme importanza di avere strutture in grado di affiancare le famiglie, facendosi carico di tutti i delicati aspetti coinvolti: medico-scientifici, psicologici, affettivi, spirituali, etici, economici e sociali. Prima, durante, e dopo il parto.
L’embrione e/o il feto in utero può e deve essere considerato un paziente a tutti gli effetti, che può essere curato prima della nascita come un paziente adulto, sia per via non invasiva (dando farmaci alla madre che attraversano la placenta e poi arrivano al feto), sia con tecniche invasive ecoguidate. Utilizzando l’ecografia si può entrare nella cavità amniotica, nel cordone ombelicale o nel corpo stesso del bambino con aghi o altri strumenti, con la finalità di curarlo in caso di gravi patologie. Ad esempio si può introdurre nel liquido amniotico l’ormone tiroideo per curare un gozzo e scongiurare un futuro ritardo mentale del bambino da deficit di funzionalità della tiroide. È possibile curare in utero alcune malattie da difetti enzimatici prima che si manifestino i danni d’organo, le anemie fetali da incompatibilità materno-fetali dei gruppi sanguigni, il mielomeningocele, le ernie diaframmatiche congenite, le tachiaritmie parossistiche fetali che possono causare uno scompenso cardiaco letale.
L’Hospice perinatale sorto presso il policlinico Gemelli di Roma è un’esperienza unica per la sua complessità e multidisciplinarietà, dove viene messa in pratica la medicina fetale, nata circa 40 anni fa grazie all’avvento e al perfezionarsi delle tecniche ultrasonografiche, basilari per guidare gli approcci invasivi diagnostici e terapeutici verso il feto. L’Hospice perinatale non è però solo un luogo ma è un modo di curare il feto. Anche nelle condizioni patologiche più estreme si può dare speranza di prevenzione, cura e sollievo al dolore, accompagnando non solo il feto con tutto l’approccio scientifico e clinico necessario, ma anche le famiglie, per le quali il bambino non è una diagnosi ma è un figlio da amare. A fianco del braccio scientifico e medico si trova il braccio famigliare, testimoniale e spirituale della Fondazione “Il cuore in una goccia” la cui mission è proprio di avvolgere il bambino e la sua famiglia in un amorevole abbraccio. Esiste poi il “Telefono rosso” che offre informazioni alle future e neo mamme sull’effetto dannoso dei farmaci in gravidanza, in allattamento e in fase preconcezionale. Il numero è 0630156298