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13 Agosto 2024
Ultima modifica: 13 Agosto 2024 ore 09:00

Proteste in Bangladesh: violenza sulle minoranze

Il Premio Nobel Yunus dovrà trovare un equilibrio
Proteste in Bangladesh: violenza sulle minoranze
Foto di ANSA/MONIRUL ALAM
Le proteste sono state occasione per uccisioni e violenze mirate verso minoranze religiose. Una volontaria in Bangladesh ci ha raccontato le paure condivise riguardo gli avvenimenti di queste settimane.
Partendo dai fatti, le manifestazioni in Bangladesh, concentrate nella capitale Dacca, sono iniziate all’inizio di luglio a causa del sistema di accesso ai posti di lavoro pubblici, considerato discriminatorio dagli studenti universitari, i quali si sono fatti portavoce e volto delle proteste. Con il passare dei giorni le manifestazioni hanno preso una piega sempre più anti-governativa, a dimostrazione dello scontento generale, con l’influenza dei partiti d'opposizione. Sheikh Hasina, l’ex prima ministra che è stata costretta alla fuga in elicottero, era ormai vista come una guida autoritaria di un governo che aveva ridotto la libertà di stampa e soppresso le opposizioni, anche tramite incarcerazioni.

Grazie alla resistenza esercitata dai giovani, di cui è noto il gruppo Anti-Discrimination Student Movement (movimento studentesco anti-discriminazione) i manifestanti hanno ottenuto non solo la caduta del governo, ma si sono imposti anche per indirizzare il futuro del Paese nella direzione da loro sperata. Dopo la fuga dell’ex premier Hasina, martedì il presidente Mohammed Shahabuddin ha sciolto il parlamento. Nonostante la soddisfazione dei manifestanti, c’era una paura che li attanagliava: la possibilità che si formasse un governo militare. Nella storia del Paese, l’esercito è già stato al centro dell’attenzione per colpi di stato e assassinii. Waker-Uz-Zaman, il capo dell’esercito, dopo la caduta del governo, aveva dichiarato che avrebbero formato un governo ad interim e chiedeva di porre la fiducia in loro. Tuttavia, sembra ormai chiaro che gli studenti non si fidano: l’esercito è percepito come complice della repressione e della fuga di Hasina, affronti che si uniscono alle azioni violente contro le minoranze etniche e religiose che vanno avanti da molto tempo. La posizione di influenza dell’esercito e la storia del Paese hanno quindi portato molta preoccupazione nei giovani manifestanti, che si sono imposti di scegliere personalmente il leader del governo ad interim. Ecco come il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus è stato chiamato dai manifestanti stessi per coprire la carica di Chief Adviser, ovvero capo di un governo ad interim per 90 giorni con il compito di garantire nuove elezioni e la formazione di un nuovo governo. Yunus, che ha ottenuto il Premio Nobel nel 2006, è conosciuto anche come il “banchiere dei poveri” poiché ciò che gli conferì il premio furono una serie di microcrediti per aiutare migliaia di persone ad uscire dalla povertà. Egli, economista e banchiere, gode di fama internazionale, mentre la sua relazione con l’ex governo e Hasina è notevolmente tesa. Infatti, Yunus definisce gli avvenimenti di questi giorni come una seconda liberazione del Bangladesh. La speranza dei giovani e della comunità internazionale, è che Yunus riesca mantenere un equilibrio pacifico fino alle prossime elezioni —  che egli vuole garantire libere— e che porti conforto dopo settimane di conflitti.

La paura per le minoranze: la testimonianza di una volontaria

Dall’inizio di luglio si è manifestata una continua escalation di violenza, arrivando anche alla decisione del governo di imporre un coprifuoco a Dacca, sede principale delle proteste, e di interrompere la connessione a internet degli smartphone a livello nazionale, con la speranza di limitare l’organizzazione e la visibilità mediatica. Yunus ha riconosciuto nello sfociare della violenza un riflesso del male fatto dal governo, una rappresentazione di cosa provano e vivono i cittadini. Infatti, nonostante le misure del governo e la repressione dell’esercito, i movimenti di protesta non si sono fermati e Dacca è diventata sede di fuoco, gas lacrimogeni, proiettili e morte, tanto da far temere lo scoppio di una guerra civile. Nonostante la situazione sembra essersi momentaneamente calmata, le proteste hanno avuto esiti tragici fino ad ora: il Post afferma che più di 250 persone sono state uccise durante le proteste, soprattutto civili, La Repubblica ne riporta 400, ma altre fonti ne dichiarano molti di più. Ciò che preoccupa è la tendenza verso la violenta razziale e religiosa che dimostrano le forze dell’ordine, portando timore per il futuro: l’Ansa riporta che si sono verificati episodi di estrema violenza e uccisioni mirate verso persone e luoghi di culto delle minoranze, in particolare nei riguardi di persone induiste, ad opera delle forze dell'ordine e di sostenitori dei partiti islamici.

La violenza delle proteste

Una volontaria, che per sicurezza manteniamo anonima, opera in Bangladesh cercando di aiutare persone povere o in difficoltà, principalmente dalla casta più bassa della società, e ci ha raccontato le paure riguardo gli avvenimenti di questo mese. «La situazione del Paese era già faticosa per l'inflazione e questi giovani hanno evidenziato tutto questo. Il governo non ha preso la questione seriamente e la cosa è degenerata. Ci sono state poi contestazioni e hanno sparato sui giovani: la polizia ha scelto la violenza, arrivando anche a uccidere alcuni giovani. Ci sono testimonianze video dove si vede chiaramente un giovane che stavaì davanti alla polizia a 15 metri, e anche se era a distanza e quindi non poteva fare del male, gli hanno sparato comunque».
La volontaria aggiunge poi le preoccupazioni per l’estremismo religioso islamico che si è radicato nell’esercito e nel partito politico d'opposizione ad Hasina, il Partito nazionalista del Bangladesh (BNP): dopo aver ottenuto lo scarceramento della loro leader, Khaleda Zia, hanno cavalcato la frustrazione dei giovani e hanno approfittato delle proteste per riacquistare spazio nello scenario politico.

Il pericolo per le minoranze

«I giovani sembrano avere chiaro il rischio che la situazione peggiori - aggiunge la volontaria -. Se i partiti sono  uno contro l'altro, specialmente se c'è il fondamentalismo, non si sa come possa andare a finire. Penso che ora le minoranze siano a rischio. Ad esempio qualche giorno fa sono state attaccate delle chiese, dei templi: questo timore c'è anche in India, Paese che ha ospitato il Hasina. Credo che se non c'è chi vigila, il fondamentalismo potrebbe riprendere campo». La volontaria esprime quindi preoccupazione sulla possibilità di un governo fondamentalista, viste le violenze già perpetuate verso le minoranze dalle forze dell’ordine, prima e durante queste proteste. Le preoccupazioni per le minoranze sono condivise anche da molti rappresentanti internazionali, come i responsabili della missione dell'Unione Europea a Dacca, riporta l’Ansa, che esprimono paura per la sicurezza e i diritti umani di queste persone.
Quando chiediamo alla volontaria che cosa stanno vivendo le persone che aiuta, lei ci racconta le loro paure. «Temiamo un po' questa situazione: abbiamo paura in quanto anche noi facciamo parte di una minoranza, in quanto cristiani. Noi siamo uno su mille, non siamo nessuno. La paura è che chi prenderà il potere voglia sopprimere le minoranze. Stamattina gli impiegati dell’ufficio dei visti hanno detto ai missionari di non muoversi se non è necessario».

La crisi si è risolta?

La situazione in Bangladesh si presenta molto complessa, dove politica, discriminazione, scontento pubblico e religione si sono intrecciate e sono sfociate in una serie di eventi caratterizzati dalla violenza. L’attuale situazione, che sembra essersi calmata dopo la nomina di Yunus a guida del governo ad interim, è sfaccettata: non può ridursi ad una sola  prospettiva e non è certamente arrivata ad un finale. Tra la popolazione c’è speranza e gioia, ma c’è anche paura e rabbia. Paura, soprattutto da parte delle minoranze, che vedono la propria vita messa a rischio dalla tendenza discriminatoria che è maturata durante le proteste. Si tratta quindi di uno stato di tensione politica, uno stato di allerta causato da settimane di morti e di violenze e che lascia molti timori dentro e fuori il Paese. Certamente, è una situazione che ci invita a non levare gli occhi da ciò che accadrà prossimamente a Dacca e da come Yunus gestirà tali tensioni e paure.