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Il Natale è festeggiare un bambino nato in una grotta, emarginato già prima di nascere. Non facciamoci prendere dal romanticismo, ma scegliamo di avere uno sguardo accogliente.
Qual è il senso del Natale? Me lo chiedo spesso in questi giorni che ci portano a Natale.
Secondo me parte proprio da quello che è successo quel giorno a Betlemme. Quel giorno un bambino ha subito una grande discriminazione ed è stato costretto a nascere in una grotta. I suoi genitori volevano che nascesse altrove, volevano un posto decente, ma ogni epoca, ogni secolo ha le sue discriminazioni che relegano gli ultimi e le persone in difficoltà fuori dalle mura della città, fuori dalle mura dei diritti e diventano i cosiddetti invisibili.
Così anche Gesù bambino è stato un invisibile. È nato lontano dalla città, dalla vita sociale, è nato in una grotta.
Il senso del Natale non è intenerirsi davanti a quel bambino nato nella grotta, presi da una sorta di romanticismo. Non è nemmeno commuoversi davanti a un bambino povero, un bambino affogato nel Mediterraneo, un bambino morto sotto le bombe di una qualsiasi delle guerre nel mondo o davanti a quel bambino che magari è un nostro vicino di casa e che non ha il necessario per vivere dignitosamente.
Il Natale ha senso se noi, oltre a commuoverci davanti a questi bambini ci chiediamo: perché questi bambini vivono in quelle condizioni? Perché ci sono papà, mamme, single che vivono in queste condizioni?
Il Natale ha senso solo se abbiamo il coraggio, verso noi stessi e verso gli altri, di farci e di fare questa domanda, e subito dopo domandarci: cosa posso fare io?
Il senso del Natale sta in queste due domande: Perché succede questo? Cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi?
Quel bambino a Betlemme chiedeva semplicemente di essere accolto. Le persone che sono in difficoltà, che siano lontani nel mondo o della porta accanto, chiedono solo di essere accolte come esseri umani, chiedono di essere ascoltate, chiedono prossimità.
In questi giorni vicini al Natale, alla Capanna di Betlemme di Chieti sono arrivate due donne italiane, una ha 65 anni, l’altra ha quasi 60 anni entrambe separate. Una di loro è vittima di violenza, l’altra ha dovuto lasciare la sua casa per altri motivi. Dormivano in un dormitorio pubblico lontane dalle loro città di origine, poi hanno accettato di venire da noi in Capanna. Pian piano, nella vita quotidiana della Capanna di Betlemme, stando insieme dalla mattina alla sera, non in un centro di accoglienza ma in una vera casa in cui si vive insieme, i loro volti si sono trasformati. L’altro giorno, durante il pranzo, ho notato che queste due donne parlavano tra loro e ridevano di gusto. Per me è stato un fermo immagine che custodisco nel cuore: sono bastati pochi giorni in Capanna e si sono lasciate alle spalle la loro disperazione. Essere accoglienti salva dalla disperazione. Ognuno, per quello che riesce, può scegliere di avere uno sguardo, una parola accogliente che salva dalla disperazione e incarna il senso del Natale.
Auguri!