Meglio il mercato rionale o il supermercato? Devo proprio rinunciare alla carne per incidere meno sul cambiamento climatico? Sono tante domande che i consumatori si fanno per fare un acquisto responsabile. Le aziende sono attente ai nostri bisogni e ai nostri punti deboli, ma anche noi consumatori abbiamo il potere di orientare le scelte aziendali e di migliorare l'impatto della nostra vita sull'ambiente.
Un noto economista come
Leonardo Becchetti ha teorizzato sul “voto col portafoglio”, l’espressione con la quale il consumatore, nel momento in cui acquista un bene, premia l’azienda che lo ha prodotto e pertanto esprime la propria preferenza verso una organizzazione piuttosto che un’altra per le politiche virtuose adottate da questa in tema di ecologia integrale.
Le aziende osservano i nostri bisogni siano essi necessari o superflui,
sono attente alle nostre emozioni, ai nostri punti deboli, sanno come ci muoviamo sul territorio o sul web, ma noi consumatori d’altro canto abbiamo il potere di orientare le scelte aziendali, sia scegliendo una particolare marca di prodotti tra le tante che ci propone il mercato, sia attraverso la scelta del dove fare la spesa, sia scegliendo un bene succedaneo (cioè beni che i consumatori possono utilizzare in alternativa per soddisfare il medesimo bisogno). Per esempio se andiamo a fare la spesa al mercato rionale anziché al supermercato siamo portati a pensare che promuoviamo i prodotti del territorio.
Molte variabili sono in gioco.
Consumo critico: il potere di chi acquista
A proposito del nostro potere di premiare i prodotti del territorio osserviamo come le variabili in gioco siano molte e diventa
necessaria una completa informazione del consumatore al fine di esercitare la responsabilità per un consumo critico. Proviamo a definire meglio la responsabilità nel momento dell’acquisto con le varie sfaccettature e le difficoltà dovute alla imperfetta informazione del consumatore. Parlando del
dove fare la spesa per esempio, vediamo come
non sempre il mercato rionale è meglio del supermercato, cioè non è detto che l’acquisto fatto al mercatino abbia automaticamente un impatto migliore rispetto all’acquisto fatto al supermercato più vicino a casa.
Le variabili sono molte e
le domande che possiamo farci prima dell’acquisto sono tante, ad esempio:
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Chi ci vende il prodotto al mercato è un hobbista che arrotonda il suo stipendio oppure un produttore che si mantiene solo grazie alla vendita di quei prodotti ai vari mercati locali?
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Chi vende il prodotto emette sistematicamente lo scontrino fiscale?
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Siamo certi della origine di un prodotto venduto al mercato?
Le domande potrebbero essere ancora tante ma siamo già in grado di distinguere da questi pochi esempi
che tipo di economia andiamo ad alimentare a seconda delle nostre scelte. Sicuramente
la scelta del mercato rionale ha degli aspetti positivi perché il mercato genera relazione, genera vita per un paese o per un quartiere di una città che senza il mercato la fa diventare dormitorio e d’altronde il piccolo paese senza mercato rischia di collassare. Al mercato si generano più facilmente rapporti di fiducia tra acquirente e commerciante, quest’ultimo nel momento in cui si perfeziona lo scambio è il produttore ma è anche colui che ha trasportato la merce al mercato e che ha disposto i beni sul banco e infine ha servito e riscosso il denaro. Al supermercato ho il contatto se va bene con la cassiera, sempre che non abbia scelto di concludere l’acquisto alle casse automatiche.
Consumo critico: il caso delle cooperative sociali
Poniamo il caso però di una cooperativa sociale che ha come
mission l’inclusione di persone svantaggiate e validi progetti di rimozione delle cause che provocano ingiustizia nel mondo e ipotizziamo che questa cooperativa si sostenga per il 90% grazie alla vendita presso la Grande Distribuzione Organizzata (GDO). In effetti per sostenere 20 o più stipendi la cooperativa predilige il canale della GDO rispetto alla vendita al mercato che non permetterebbe di vendere quantità tali. In questo caso il consumatore informato sull’esistenza di alcune organizzazioni che operano nel sociale o nel mercato equo e solidale, per premiare queste realtà si rivolgerà al supermercato e farà certamente un acquisto responsabile.
Questo caso chiarisce ancora una volta che per determinare un consumo responsabile è necessario dotarsi di molte informazioni, in assenza di queste non è semplice dare risposte su quale sia il corretto acquisto da fare o su quale sia il corretto canale distributivo da percorrere per finalizzare un consumo critico.
Leggi bene l’etichetta!
I supermercati vendono anche prodotti buoni, prodotti etici ma se non si è molto scrupolosi durante la spesa, si rischia talvolta di acquistare prodotti di dubbia qualità o provenienza perché la filiera si allunga e
le informazioni riportate in etichetta non sempre sono facilmente leggibili per la piena tutela del consumatore finale. Nonostante gli sforzi di regolamentare l’origine in etichetta (Regolamento UE 775/2018) non è facile districarsi tre i mille messaggi del marketing aggressivo che gioca tutte le proprie carte a disposizione per confondere il consumatore.
Sono diversi i termini che si usano in etichetta al limite del lecito quali «naturale», non sufficientemente regolato così come anche: «prodotto artigianale» che invece potrebbe avere caratteristiche simili alla produzione industriale. Anche il termine «nettare» che ritroviamo nei succhi di frutta può risultare ingannevole visto che spesso è usato per normalissimi succhi di frutta diluiti con acqua.
Dobbiamo davvero rinunciare alla carne?
Anche se le variabili sono molte abbiamo però a disposizione alcuni dati interessanti per spingere l’impresa a produrre beni più sostenibili rispetto ad altri o se vogliamo dire diversamente, a far sì che alcuni beni molto inquinanti siano prodotti sempre meno. È il caso della produzione di carne.
Oggi nei Paesi sviluppati è diventato più importante coltivare mangime per animali piuttosto che coltivare cibo per gli uomini con evidenti conseguenze sull’ambiente per via dei fertilizzanti utilizzati. Infatti
il 60% del raccolto totale in Europa e Nord America è impiegato per nutrire gli animali e non direttamente le persone. Le tre carni più consumate al mondo sono il maiale (40%), il pollo (37%) e il manzo (23%) ed è importante conoscere il tasso di conversione del mangime in carne per comprendere l’impatto sull’ambiente. Ci vogliono circa 4 unità di mangime per una unità di carne di pollo, ce ne vogliono invece circa 10 unità di mangime per ottenere una unità commestibile di maiale e addirittura 25 unità di mangime per restituire una unità di carne di manzo.
Se facessimo la scelta di rinunciare al consumo di carne per una
dieta più ricca di proteine vegetali risolveremmo molti problemi ambientali ma proviamo a formulare l’ipotesi che nessun consumatore sia disposto a rinunciare alla carne. Se allora scegliessimo sempre meno porzioni di
manzo, la cui produzione risulta essere molto dispendiosa per l’uomo e per l’ambiente (il manzo richiede 6 volte quel che richiede il pollo e richiede 2,5 volte quel che richiede il maiale) a favore di un maggior consumo di pollo, per esempio un terzo in più di quel che facciamo oggi, avremmo che grazie alla maggior efficienza produttiva del pollo e del maiale gli allevatori libererebbero più risorse a beneficio di una maggior parte della popolazione e con un impatto minore sull’ambiente.
Abbiamo qui lasciato da parte alcune variabili importanti per semplificare il problema. È evidente che questa analisi sia parziale se pensassimo a ciò che sta succedendo agli allevamenti intensivi, alle condizioni proibitive per i polli che vengono costretti a raggiungere un peso idoneo in tempi brevissimi.
Certo che
la moderazione del consumo di carne in assoluto sarebbe la strada più rapida per andare sempre più
verso una ecologia integrale ma anche il riequilibrare le nostre scelte con cibi succedanei rispetto alla carne di manzo, di pollo e di maiale ci possono portare ad ottenere grandi risultati in termini di sostenibilità.
Il biologico è sempre la scelta migliore?
La crescita delle coltivazioni biologiche ha portato a importanti progressi ai fini del rallentamento dell’anidride carbonica ma anche per questo discorso dobbiamo misurare le molteplici variabili in gioco. Da uno studio
pubblicato su “Nature Communications” da Adrian Williams, dell’Università di Cranfield, nel Regno Unito su scala nazionale limitata al Regno Unito si è osservato che
i metodi biologici sono in grado di ridurre le emissioni del 20% per ogni bene prodotto da coltivazioni agricole e del 4% per gli allevamenti. Se però in tutta la Gran Bretagna la produzione agroalimentare fosse a conduzione biologica, benché si otterrebbe una notevole riduzione sulle emissioni di gas serra, rinunciando allo sfruttamento intensivo di coltivazioni e allevamenti farebbe diminuire la produzione del 40%. Questo fatto, a parità di consumi, provocherebbe il ricorso ad una maggiore importazione di prodotti agroalimentari che per arrivare al consumatore finale
dovrebbero subire un trasporto più lungo con evidenti maggiori emissioni di gas serra. Ancora una volta la risposta migliore passa da una riduzione dei consumi.
Ma è meglio un prodotto bio o convenzionale?
Per addolcire la lettura
facciamo l’esempio del miele. Sull’etichetta della confezione un prodotto bio è contraddistinto dal
marchio di qualità biologica solo se il produttore si è certificato presso un ente di certificazione. Un miele però può essere prodotto con una conduzione biologica dell’alveare anche senza avere la certificazione. Infatti ci sono apicoltori che si rifiutano di credere a questa differenza tra miele certificato e non, perché sono consapevoli dei loro metodi di allevamento naturali. Ma portare un prodotto sul mercato, non necessariamente globalizzato, ha bisogno in molti casi di parlare attraverso la sua etichetta ed è per questo che la certificazione aiuta il consumatore non perfettamente informato a scegliere. Tutt’altro discorso è parlare delle
adulterazioni, queste
possono riscontrarsi sia in un prodotto certificato che in un prodotto convenzionale. In sintesi: non è detto che un prodotto bio certificato sia migliore di un prodotto convenzionale, ma è vero che è un prodotto maggiormente controllato.