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20 Febbraio 2024
Ultima modifica: 20 Febbraio 2024 ore 10:15

Quanto inquina la Fast fashion. Ma c'è una alternativa

Un'inchiesta di Greenpeace rivela quanti chilometri percorre un capo acquistato on line, attraversando l'intero pianeta. A Bologna c'è una esperienza alternativa basata sul vintage e secondhand.
Quanto inquina la Fast fashion. Ma c'è una alternativa
Foto di La Fraternità
Nascondono un GPS nei capi comperati on line e così ricostruiscono il percorso tra acquisto, rivendite e resi. Alla fast fashion fa da contraltare la crescente diffusione dei circuiti alternativi che favoriscono l'economia circolare, come il progetto And Circular.
Quante volte ci è capitato di comprare online in maniera un po’ superficiale, senza pensare se quel paio di pantaloni fosse proprio quello che stavamo cercando, perché “tanto poi al massimo lo rendo”?
Oppure abbiamo comprato lo stesso capo in più taglie e colori per provare comodamente in casa il migliore? 
E ancora: quanti sono convinti che, una volta reso, lo stesso indumento viene rimesso in vendita?  

Quanto viaggia un capo fast fashion: l’inchiesta

A rispondere a queste domande ci ha pensato l’inchiesta di Greenpeace, in collaborazione con Report Rai 3, dal titolo Moda in viaggio. Il costo nascosto dei resi online: i mille giri del fast-fashion che inquina il pianeta.   
Per condurre l’indagine sono stati acquistati 24 capi d’abbigliamento fast fashion sulle piattaforme principali di settore e hanno nascosto un localizzatore GPS in ogni vestito in modo da tracciare gli spostamenti per studiare tutta la filiera logistica dei venditori. 
Ciò che è emerso è davvero preoccupante: in 58 giorni i pacchi hanno percorso 100 mila chilometri, hanno attraversato 13 Paesi tra Europa e Cina, con una media di 4500 km a prodotto tra consegna e reso. I 24 capi sono stati venduti e rivenduti complessivamente 40 volte (1,7 di media per abito) e resi 29 volte. Ad oggi 14 indumenti su 24 non sono ancora stati rivenduti. Il 100% dei capi resi a Temu e Shein (catene cinesi di super fast fashion) e OVS non sono ancora stati rivenduti. 
Questa inchiesta mette in luce quanto sia enorme la disparità tra la facilità di effettuare un reso da parte del cliente e gli elevati impatti ambientali nascosti dietro a questo gesto. Senza contare il costo per l’azienda. Ecco perché sono sempre di più i rivenditori che hanno iniziato a disincentivare i resi rendendoli a pagamento per il compratore.  

Compriamo meno, scegliamo meglio 

Ma cosa possiamo fare noi? Possiamo essere utili e modificare questo atteggiamento sempre più incurante della salute del nostro Pianeta Terra? La risposta è “sì, possiamo e dobbiamo”: ricordiamoci che il cambiamento parte sempre da noi. Per citare Vivienne Westwood: compriamo meno, scegliamo meglio e facciamo durare i nostri acquisti il più a lungo possibile! 
Innanzitutto è indispensabile essere più attenti a cosa comprare, evitando acquisti compulsivi nelle catene fast fashion che ci invogliano ad acquistare sempre più cose a prezzi sempre più bassi. La prima domanda infatti che dobbiamo porci è: ho veramente bisogno di questo ennesimo paio di jeans? E ancora: come può una t-shirt costare solo 1,99 euro? Come può un’azienda essere sostenibile a livello sociale e ambientale se i loro capi costano così poco? Quanto vengono pagati i lavoratori di queste aziende?

L’esperienza di And Circular: ambiente e inclusione sociale

Oggi come oggi le alternative sono tante, sicuramente la più diffusa e sostenibile è l’acquisto di capi vintage, secondhand e usati.
Grazie a straordinarie realtà come And Circular, progetto di Economia Circolare promosso dalla cooperativa sociale Onlus La Fraternità, è possibile dare una seconda vita a capi che altrimenti andrebbero buttati e acquistare abbigliamento usato a prezzi davvero vantaggiosi.
In questo modo si possono acquistare capi – anche griffati – a prezzi decisamente più bassi risparmiando fino al 70% rispetto a comprare capi nuovi.
Comprando nei negozi And Circular (o sul sito andcircular.com),  poi, ne trae un beneficio reale anche l’ambiente perché non vengono utilizzate nuove risorse per la realizzazione di indumenti. Privilegiando il riutilizzo di ciò che c’è già, si abbatte in maniera sensibile il danno da inquinamento: è noto infatti come la produzione di abbigliamento sia una delle industrie più inquinanti al mondo.
Il progetto And Circular, poi, ha un ulteriore punto di forza: garantisce infatti il reinserimento lavorativo di persone vulnerabili con diversi tipi di fragilità. Ad oggi oltre 30 persone a forte rischio emarginazione riescono ad avere un lavoro grazie al progetto di Economia Circolare di La Fraternità. E persino i ragazzi del Centro diurno La Nuvoletta Bianca, alle porte di Bologna, danno il loro prezioso contributo sanificando e stirando i campi prima che siano rimessi in vendita. Un progetto speciale che ha come obiettivo dare una nuova vita alle cose e alle persone.
Per maggiori info www.andcircular.com