Shihab, un ragazzino di 9 anni che viveva per strada in Bangladesh, ha trovato una nuova speranza grazie all'incontro con i missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII. La sua storia è un esempio di come l'amore e il supporto possano cambiare il corso della vita.
Quel giorno Shihab, 9 anni, stava raccogliendo plastica e carta per poterle rivendere e ricavarne qualche spicciolo per mangiare. Shihab era un “tokai”, un termine dispregiativo che significa “raccoglitore”, e viveva sulle strade di Dhaka, capitale del Bangladesh. Ancora non lo sapeva, ma quel giorno la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
«Quando lo abbiamo incontrato era vestito di stracci, magrolino e tutto sporco» racconta Sara Foschi, che a quel tempo era missionaria in Bangladesh con la Comunità papa Giovanni XXIII. «Era il 2010 e io ero insieme a Kristian Gianfreda (il regista di Solo Cose Belle, ndr) che voleva fare un documentario, raccontando la vita dei bambini di strada. Ci siamo avvicinati a questo ragazzino e gli abbiamo chiesto se poteva farci da guida per quel giorno, accompagnandoci nelle zone più povere di Dhaka. A differenza di tanti altri bambini di strada, Shihab non era sotto l’effetto dell’alcool o di altre sostanze, era lucido e mentre ci portava in giro per la città ci ha raccontato la sua storia».
E la sua storia ha dell’incredibile, perché oggi Shihab sta per laurearsi in ingegneria e ha tanti progetti per il futuro. Lasciamo che sia lui a raccontarci qualcosa di sé:
«All’età di 8 anni circa me ne sono andato da casa mia perché non si mangiava, ma soprattutto la situazione nella mia famiglia era brutta, non c’era pace. Allora ho preso questa decisione, ho lasciato il mio villaggio e sono andato a Dhaka. Qui mi sono unito ai bambini di strada, perché non avevo nessun altro posto dove stare. Di quel periodo ricordo che ho patito tanto la fame: credo che patire la fame sia una delle sofferenze più grandi. Ero sporco, perché non c’era un posto dove lavarmi, i miei vestiti erano sporchi, un giorno mangiavo e un altro no. A volte ho rubato per riuscire a mangiare qualcosa. Ero piccolo e nessuno mi dava da lavorare, quindi l’unica cosa che potevo fare era raccogliere la plastica e la carta per le strade. Ho preso tante botte: tante persone, anche senza motivo, mi hanno fatto del male, perché i bambini di strada non sono di nessuno. A un certo punto ho pregato il Creatore di farmi trovare una strada, di aprire una luce nella mia vita.
Il Creatore Dio ha ascoltato la mia preghiera perché poi ho trovato una famiglia. Ringrazio Sara perché mi ha accolto e mi ha dato la possibilità di far fruttare i miei talenti che nemmeno io sapevo di avere. Volevo diventare un uomo e studiare per me era la cosa più importante. Non volevo più soffrire come avevo sofferto fino a quel momento. Volevo avere una vita come le altre persone.
Vorrei dire grazie a Sara, che mi ha accolto nella sua casa famiglia, a Franca (responsabile della presenza in Bangladesh della Papa Giovanni XXIII, ndr) che mi ha fatto vedere la strada giusta, a Uggiol (un membro Apg23 bengalese, ndr) che mi ha accompagnato come un fratello. Mi avete molto amato, mi amate tanto e in questa mia piccola vita non avrei mai immaginato di ricevere tanto amore».
Quel giorno Shihab era in cerca di plastica e carta, ma ha trovato una strada verso un futuro diverso.
«Dopo quella giornata insieme, gli abbiamo proposto di cambiare vita, di venire via con noi» dice Sara. «Shihab ha accettato subito. È sempre stato molto determinato e ambizioso: quando è arrivato in casa famiglia, ha frequentato la quinta elementare da privatista perché non era mai andato a scuola, poi è stato inserito nelle classi normali ed è sempre andato bene». Sara, che è stata il suo punto di riferimento per tanti anni, ancora oggi tiene i contatti con Shihab.
«Grazie al nostro sostengo e a delle borse di studio è riuscito a frequentare le scuole superiori e anche l’università. Ora sta frequentando ingegneria e sta per laurearsi. Il suo sogno è di fare anche il master. Il suo percorso di studi è stato sostenuto dal progetto Adozioni a distanza, anche se lui si è sempre dato da fare per avere un introito, ad esempio dando lezioni di ripetizioni»
Qualche settimana fa Shihab, che parla bene inglese, ha fatto da guida a Matteo Fadda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, quando è andato in visita in Bangladesh. La sua presenza è stata davvero importante perché è andato a prenderlo all’aeroporto e lo ha accompagnato nella missione di Chalna, che dista più di 10 ore di viaggio da Dhaka. Quel ragazzino che viveva sulla strada ora è un giovane che sta per realizzare il suo sogno: laurearsi in ingegneria. Grazie alla presenza della Comunità Papa Giovanni XXIII in Bangladesh e grazie al sostegno di tanti donatori tutto ciò è stato possibile e continua ad essere possibile per tanti altri ragazzi e ragazze come Shihab.