«Ero iperattiva, facevo palestra, boxe, camminavo fino a 40 km al giorno e mi riempivo lo stomaco fino a scoppiare, e poi vomitavo anche cinque volte in una giornata». A raccontarsi è una ragazza che si è ammalata di bulimia a 16 anni, dopo essere stata anche vittima di cyberbullismo.
Purtroppo i provvedimenti necessari durante la pandemia, come la scuola a distanza e la sospensione di attività sportive e sociali, hanno portato a una vera epidemia di disturbi del comportamento alimentare negli adolescenti.
In Italia sono circa tre milioni le persone che ne soffrono (la maggior parte femmine fra gli 11 e i 15 anni): anoressia nervosa, bulimia e disturbo da binge eating (abbuffate incontrollate e ricorrenti). Non si tratta di capricci, ma di malattie serie e complesse che richiedono un intervento multidisciplinare, con psichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista e dietista e quattro livelli di intensità assistenziale se i parametri vitali sono a rischio.
Nei casi più gravi i giovani arrivano in pronto soccorso in pericolo di vita, con una frequenza cardiaca sotto i 40 battiti al minuto, in stato di denutrizione e malnutrizione. L’organismo è costretto a consumare tutte le scorte energetiche, per cui il cervello, che si nutre solo di glucosio, quando questo manca lo deve prendere dai muscoli attivandone il catabolismo. Se continua la riduzione dell’apporto di nutrienti l’organismo mette in atto meccanismi di risparmio energetico: abbassa la frequenza e la pressione cardiaca e la temperatura corporea, mentre il cervello riduce le sue funzioni cognitive ed emotive con ridotta capacità di concentrazione e di assimilazione di nuovi concetti e insorgenza di apatia, depressione, irritabilità.
La diagnosi precoce anche per questa malattia è fondamentale. Il primo sintomo è il dimagrimento graduale e vistoso. Al momento del pasto la persona è concentrata su quello che ha nel piatto, sminuzza il cibo in piccoli bocconi, usa poco condimento e ha un controllo sempre più inflessibile sulle quantità. Un sintomo molto significativo è la dispercezione corporea. Quanto più la persona perde peso tanto più si vede grassa e il disturbo non si allevia diventando più magra, ma si aggrava.
I genitori sarebbero pronti a tutto ma spesso non sanno come comportarsi con il figlio malato. La prima regola è evitare gli atteggiamenti punitivi e aggressivi così come i giudizi negativi perché controproducenti (non usare mai frasi come «morirai presto, se continui così finirai in ospedale»). Il disturbo alimentare infatti non è un problema di volontà, di voler o non voler mangiare. La seconda regola è fare squadra con parenti, amici, insegnanti, allenatori nel trasmettere un messaggio univoco di attenzione e di disponibilità all’aiuto. Poi accettare la malattia e superare lo stigma della malattia mentale e incoraggiare a trovare un aiuto professionale.