Sheik Abdo, insegnante e attivista siriano, parla delle sfide attuali per i rifugiati siriani, molti dei quali non possono tornare a causa della devastazione del Paese. Sottolinea le atrocità commesse dal regime e l'importanza di una riconciliazione collettiva tra le diverse comunità siriane, evidenziando la necessità di un governo che rappresenti tutti i cittadini.
Sheik Abdo è un insegnante elementare originario di Al-Qusayr (area di Homs, nel sud della Siria). Durante le proteste contro il regime di Bashar Al-Assad (marzo 2011) crea una clinica per il trattamento dei feriti nelle manifestazioni civili, impossibilitati a ricevere cure dal sistema sanitario istituzionale. Ricercato dalle forze governative siriane, nell’agosto 2011 lascia il Paese insieme alla moglie e scappa in Akkar (nord del Libano), dove nel 2012 apre una piccola clinica informale gratuita per curare i siriani malati e feriti, chiusa dopo alcuni mesi dalle autorità libanesi. Nel 2013 fonda l’associazione di mutuo aiuto Al-Ihsan, laica e apartitica, composta da attivisti siriani e libanesi di diverse comunità, unite dall’obiettivo di aiutare i siriani sfollati. Parte così anche il progetto del Malaak Center, un centro scolastico che accoglie oggi 460 studenti tra i 3 e i 17 anni insieme a 14 insegnanti, che è anche un centro di riabilitazione psicologica per bambini.
Nel 2015 arriva in Italia con un corridoio umanitario. Sheik Abdo è portavoce della “Proposta di pace per la Siria” promossa dai profughi siriani in Libano, un appello redatto con Operazione Colomba all’interno delle tendopoli dell’Akkar. Le richieste sono:
la creazione di una zona umanitaria in Siria (un’area demilitarizzata neutrale rispetto al conflitto, sottoposta a protezione internazionale, nella quale i profughi possano tornare);
la fine dei bombardamenti e della fornitura di armi;
un governo di unità nazionale che rappresenti tutti i siriani;
una rappresentanza della società civile siriana alle trattative di pace di Ginevra;
un cambio di rotta nella lotta all’estremismo;
una pronta assistenza alle vittime.
L’abbiamo incontrato in provincia di Rimini, dove vive oggi.
Sheik, che tempo stati vivendo! Dopo tanti anni di sofferenza, all’improvviso ti sei svegliato una mattina e hai scoperto che la Siria era libera…
«È stata una giornata piena di gioia, una sorpresa grandissima non solo per me, ma per tutti i siriani. Ci siamo svegliati e abbiamo saputo che Assad era andato via, che il regime era caduto. Quel regime che ha ucciso più di un milione di siriani. Prima della guerra eravamo 23 milioni, il regime di Bashir Assad ne ha uccisi un milione, imprigionati mezzo milione e 13 milioni sono diventati rifugiati, dentro e fuori dalla Siria. Questo regime dittatoriale ha fatto tremende atrocità, ha distrutto più del 70% della Siria, che oggi purtroppo è divisa in tante parti.
Ora inizia una nuova vita, una bella vita, un futuro promettente. Speriamo che si possa costruire la pace presto, dopo 14 anni di guerra».
Tu hai pagato in prima persona l’opposizione al regime, con la persecuzione e l’esilio. Quando è stata l'ultima volta che hai visto la Siria?
«Sono uscito dalla Siria il 30 agosto 2011, ma non ho scelto io di andarmene. Sono scappato dopo che un amico mi ha avvertito di andare via immediatamente, subito, perché la polizia veniva a casa mia per prendermi. Sono scappato, e dopo 4 ore è arrivata la polizia, insieme all'esercito; hanno rapinato tutto, tutti i soldi, l'oro di mia moglie, hanno distrutto tutto, hanno preso anche i miei documenti e i certificati universitari. Non mi hanno trovato e sono andati via.
Sono scappato in Libano e ho iniziato il mio viaggio, sono diventato un rifugiato, non più Sheikh Abdo, che è cresciuto come uomo e vive nel suo Paese. Ho affrontato tantissime difficoltà; alla fine, però, ho continuato la mia attività e ho continuato ad aiutare i siriani».
Il post guerra è più difficile della guerra. Tutto il dolore che hanno subito i rifugiati, le persone, i siriani dal 2011 fino al 2024, uscirà
Sheik Abdo
Perché eri perseguitato in Siria?
«Io sono un attivista per i diritti umani e per il dialogo interreligioso. Avevo organizzato un incontro durante la preghiera del venerdì a mezzogiorno. Ho invitato tante persone della zona, cristiani, alawiti, sciiti e sunniti, che di solito partecipavano alle mie preghiere. Eravamo quasi 600 persone. In quel momento ero Imam e ho invitato persone da altre regioni per discutere insieme del futuro della Siria. Ho spiegato che il regime dittatoriale siriano voleva dividere la Siria, voleva creare conflitti tra cristiani e musulmani, sunniti e sciiti. Ma noi, come popolo, non volevamo che ciò accadesse; il regime voleva questa divisione, mentre noi, cresciuti insieme, lavoravamo e festeggiavamo insieme. Quando c’era una festa cristiana, andavo a trovarli e viceversa. La nostra era una comunità unita, come una famiglia. Tuttavia, il regime ha iniziato a seminare discordia, sostenendo che i musulmani e i sunniti volevano uccidere tutti i cristiani, alawiti e sciiti».
Assad è alawita, e gli alawiti sono stati al potere in Siria per 55 anni. Puoi spiegare brevemente la struttura religiosa del paese sotto la dittatura assadiana?
«Hafez al-Assad ha preso il potere nel 1970, era il padre di Bashar al-Assad. Ha stabilito un regime autoritario. Ha ucciso molti siriani per la loro opposizione. Chi pronunciava una parola contro Assad finiva in prigione a Sednayah. Ora tutto il mondo sa cosa significa Sednayah. Da questa prigione dell’orrore sono usciti solo 5.000 siriani, ma ne sono scomparsi mezzo milione. Mancano 450mila persone e non sappiamo dove siano. Persone arrestate e torturate perché contro il regime.
Hafez era un sanguinario, il figlio Bashar ha continuato la stessa strategia senza alcun cambiamento. All'inizio speravamo che quel giovane fosse diverso dal padre, potesse fare qualcosa di buono, portare un futuro di pace, fare qualcosa per i poveri, ma ha fatto l'opposto. Ogni giorno il popolo siriano diventava sempre più povero, e non solo i poveri non hanno diritti umani, ma non hanno neanche dignità.
Nel 2002, insieme ai miei amici attivisti per i diritti umani, avevamo un sogno di libertà, di diritti umani. Avevamo capito che una rivoluzione ha bisogno di una strategia ben pensata. Nel 2010 è iniziata la primavera araba, la gente chiedeva libertà, dignità e diritti umani. Il regime iniziò a dividere le comunità: musulmani contro cristiani, alawiti contro sciiti. Ma quando siamo usciti lo facevamo insieme: alawiti, sciiti, sunniti. Anch'io, come Imam, pensavo che avremmo potuto lavorare insieme. Iniziammo a vedere la violenza del regime, che utilizzava le armi contro la nostra protesta pacifica. Così iniziò questa guerra, e il mondo osservava e aiutava l'Egitto, la Tunisia e la Libia, ma quando la vera primavera araba esplose in Siria, nessuno intervenne. Il regime siriano creò Al Nusra e poi l'ISIS per mostrare al mondo che era in guerra contro di loro, ma la realtà era ben diversa. Oggi, dopo quasi 14 anni l'Esercito libero, in 10 giorni, la Siria è libera».
Ma Al-Jolani (Abū Muḥammad Al-Jawlānī, ndr), a capo dell’esercito libero, non è propriamente uno stinco di santo…
«Certo, Al-Jolani viene da al-Nusra, e prima ancora da al-Qaeda, poi ha creato Tahrir al-Sham. Io sono contro l’ISIS, contro Nusra, contro i gruppi musulmani che vogliono fare della Siria uno stato musulmano. Io voglio la Siria per tutti, un Paese democratico. Ero contro Al-Jolani.
Ma quando è iniziata questa guerra di liberazione e ho cominciato a parlare con il popolo siriano, ho scoperto che lui è cambiato rispetto ad anni fa. Sembra che abbia cominciato a lavorare per un futuro per la Siria: se continua così, è una buona cosa. Ha detto che i diritti sono per tutti, e che tutti i siriani sono uguali. Tra 4-5 mesi ci sono le elezioni, e i siriani sceglieranno chi il presidente e il governo. Questo è il sogno del popolo siriano.
Quando prima facevamo le elezioni, non potevamo mettere un altro nome, dovevamo mettere Bashar al-Assad. Il 99% era Bashar al-Assad e l'altro 0,1%, 0,1%, 0,2%, non era vero.
Al-Jolani è un siriano. E lui, come tanti siriani, quando ha visto che al-Qaeda ha sbagliato tante cose, anche lui ha fatto errori, ha lasciato al-Qaeda e se n'è andato. Io prima ero contro di lui, e contro tutti i gruppi armati musulmani. Oggi c’è una strada diversa».
Com’è la situazione in Siria oggi? Dai mass-media arrivano immagini della prigione di Sednayah, tutte le atrocità che Assad ha commesso, ma nella realtà la situazione sociale ed economica della Siria com’è?
«Il regime siriano ha distrutto la Siria, insieme a Russia, Iran e Hezbollah. È distrutto più del 70%. Non c’è elettricità, non c’è acqua, non c’è niente, non ci sono case. E ciò vuol dire che i rifugiati non possono tornare. Hanno bisogno di tempo. perché non c’è niente adesso per vivere. Ma la cosa più importante è che Bashar al-Assad, colui che ha fatto malissimo al popolo siriano, non c’è più…»
Il popolo siriano è uno dei più alti popoli di rifugiati al mondo. La diaspora ha numeri altissimi. Secondo te, tutti i rifugiati siriani oggi torneranno in qualche modo in Siria? Anche nel futuro prossimo? C’è questa possibilità?
«Dal Libano, secondo me, torneranno al 90%. Ma non possono tutti tornare adesso, perché non ci sono servizi. In Europa, in altri Paesi dove ci sono i diritti umani, dove c'è dignità, dove c'è lavoro molti resteranno. Ad esempio, se io torno adesso non c’è lavoro, non ci sono soldi, non posso fare niente… Voglio continuare ad aiutare i siriani in Siria, per il futuro, per costruire la pace, ma da qui».
Prima parlavi di circa mezzo milione di persone che mancano all'appello, che non si trovano, non si sa se sono morti, sono “desaparecidos”… è un dramma per molte famiglie…
«Della mia famiglia sono scomparse 17 persone e non abbiamo trovato nessuno di questi parenti. Tutte le famiglie siriane, alawiti, sciiti, cristiani hanno parenti scomparsi, ma non solo… Dove è padre Paolo Dall'Oglio? Secondo me il padre Paolo era nella prigione di Sednayah. Ma nessuno ha ancora trovato niente, nessuno sa niente».
Credo che per la Siria ci sia un futuro bello, ma non sarà facile, ma credo ci siano tantissimi siriani che vogliono costruire la Siria
Sheik Abdo
Ogni famiglia in Siria ha un lutto, persone incarcerate, persone scomparse, persone morte. Quanto sarà difficile ricostruire? Un percorso di riconciliazione collettiva per questo paese, quanto sarà difficile? Che cosa si dovrà fare?
«Vanno ricostruiti i legami sociali, le relazioni. Il post guerra è più difficile della guerra. Tutto il dolore che hanno subito i rifugiati, le persone, i siriani dal 2011 fino al 2024, uscirà. E la comunità siriana è divisa. Non solo cristiani e musulmani, ma chi era con Assad e chi era contro Assad. E questo ha fatto malissimo, perché io conosco tante famiglie divise: il padre contro il figlio, il figlio contro il padre, il fratello contro il fratello. È una cosa brutta. 14 anni di guerra hanno bisogno di 14 anni per ricostruire i legami. Se cominciamo e lavoriamo bene, avremo bisogno di altri 14 anni».
Molti media internazionali affermano che dietro questa liberazione della Siria ci siano gli Stati Uniti, Israele, l'Occidente in qualche modo, anche i paesi arabi. Secondo te sarà possibile ridare davvero la Siria ai siriani o rimarrà sempre ostaggio di qualcuno?
«Intanto l’esercito libero finalmente si è unito, prima non ci erano mai riusciti. Credo che per la Siria ci sia un futuro bello, ma non sarà facile, ma credo ci siano tantissimi siriani che vogliono costruire la Siria».
Quale augurio fai a te stesso e al tuo popolo? Tu sei una persona nonviolenta, e insieme a un gruppo di rifugiati avevi elaborato una proposta di pace che prevedeva un’area all'interno della Siria completamente pulita, senza armi, un'area di dialogo. Esiste ancora questo sogno?
«La prima cosa per la proposta di pace è stata quella di dare voce ai rifugiati siriani dal Libano a tutto il mondo. Con l'aiuto di Operazione Colomba, abbiamo elaborato questa proposta come arma nonviolenta per farci sentire in tutti i posti alti in Europa e negli Stati Uniti, in sede ONU, per dire che siamo qui, abbiamo un progetto, se volete aiutarci. Ma alla fine nessuno ha fatto nulla. Tuttavia, con questo progetto abbiamo aiutato molto i rifugiati siriani in Libano e abbiamo fatto tante pressioni contro Hezbollah, contro il regime siriano, contro Putin e contro il governo libanese, perché trattavano molto male i rifugiati siriani in Libano.
Adesso continuiamo, sempre con l'aiuto di Operazione Colomba, con un’idea di proposta di pace per una nuova Siria, per una Siria libera. Questa proposta di pace cambierà, perché era pensata sotto il regime, ma è ancora attuale, è un progetto che si può concretizzare oggi. La proposta di pace è come un sogno per il popolo siriano, per i rifugiati siriani in Libano, oggi quel sogno cambia. Perché prima il sogno era la liberazione della Siria e il ritorno di tutti i rifugiati in Siria. Adesso il sogno costruire la Siria e vivere in pace».