«Volentieri perdono tutti i responsabili della mia morte»
Paolo nacque nel 1556 nei pressi di Kyoto da una nobile famiglia giapponese. Era figlio di un nobile samurai, convertito al cristianesimo assieme ad alcuni monaci buddisti. Fu battezzato a 5 anni e da ragazzo entrò nel seminario dei gesuiti. Proseguì gli studi di teologia fino a diventare sacerdote. Nel 1587 lo shogun (cioè il generale delle forze armate) al potere, Hideyoshi Toyotomi, cominciò la persecuzione contro i cristiani: minacce di morte sul rogo a famiglie di giapponesi convertiti, chiese bruciate nei villaggi, proprietà confiscate di autorità. Paolo fu arrestato nel dicembre del 1596; trasferito in carcere vi trovò altri missionari: 3 gesuiti, 6 francescani e 17 giapponesi terziari di san Francesco. Ai prigionieri fu ingiunto di abiurare e, al loro rifiuto, fu tagliato ad essi il lobo dell’orecchio sinistro. Così malconci e insanguinati furono messi su un carro ed esposti al ludibrio pubblico per le vie della città. Ai primi mesi del 1597 furono condotti a piedi fino a Nagasaki dove furono crocifissi su un’altura. La sua memoria liturgica si celebra il 6 febbraio.
San Paolo Miki: primo religioso giapponese
Il Giappone ricevette l’annuncio della fede cristiana da S. Francesco Saverio che vi rimase pochi anni ma pose le solide basi per il futuro lavoro di evangelizzazione, continuato da altri missionari gesuiti e francescani. A quarant’anni dalla predicazione di S. Francesco i cristiani arrivarono ad essere circa 200.000. In questo piccolo popolo di Dio giapponese si distinse Paolo Miki. Primo religioso cattolico, approfondì la cultura del suo popolo per poter essere in grado di dialogare con i vari strati sociali della società giapponese: con la gente colta come con i monaci buddisti e shintoisti e con quella povera di cultura e di altri mezzi materiali, spesso oppressi dai loro padroni. Con il suo modo di fare e di dialogare si guadagnò la stima e il rispetto di tutti.
Era un predicatore che conquistava gli uditori più con la delicatezza dei sentimenti, tipica del suo popolo, che con le dotte argomentazioni in uso tra gli occidentali. In prigione emerse la santità di Paolo che diventò per tutti un punto di riferimento, di esempio e di coraggio, di pazienza e di costanza nella sofferenza per la propria fede. Prima di morire, sulla croce, fece la sua ultima predica, dicendo: «Dichiaro che non c’è miglior via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Per più di due secoli i cristiani giapponesi furono sottoposti ad una persecuzione costante e a varie umiliazioni, ma non cedettero. La fede cristiana venne trasmessa dai genitori ai figli, senza l’aiuto e la guida di nessuna struttura ecclesiastica. Perciò quando nel secolo XIX il Giappone riaprì le porte all’Occidente, con sorpresa i nuovi missionari incontrarono ancora dei cristiani in questa terra. Come sempre avviene, il sangue dei martiri è stato fecondo. Siamo fratelli di martiri: non sviliamo la nostra fede ma impariamo da loro a professarla nella buona e nella cattiva sorte.