«Sazia di Cristo non sentiva la fame» (San Girolamo)
Marcella, appartenente all'llustre famiglia romane dei Marcelli, nasce verso il 330 e rimane ben presto orfana del padre. Nel 340 conosce il grande vescovo Atanasio (esule da Alessandria d’Egitto durante la crisi ariana) che le fa conoscere il movimento monastico della Tebaide. In giovane età sposa un aristocratico e dopo sei mesi è già vedova. Nel 358 le vengono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale, ma attratta dal monachesimo Marcella rifiuta. Nel suo maestoso palazzo sull’Aventino si forma intorno a lei una comunità femminile dove altre nobili romane scelgono una vita di preghiera e di penitenza. Dal 382 il loro direttore spirituale è san Girolamo, ma nel 384 le lascia per trasferirsi a Betlemme; alcune matrone lo seguono ma Marcella preferisce continuare la diffusione della vita ascetica a Roma. Nel 410 subisce il dramma dell’invasione e del saccheggio ad opera dei goti di Alarico. Muore nello stesso anno e la sua festa è celebrata il 31 gennaio.
Discuteva della Sacra Scrittura con san Girolamo
Marcella investì le sue ricchezze donandole ai poveri di Roma; e nel centro delle ricchezze e del potere, accanto alle matrone festose e mondane, visse con la stessa austerità dei padri del deserto, digiunando e pregando, studiando e meditando.
Dalla viva voce dei vescovi d’Alessandria, Atanasio e poi Pietro, i quali per sfuggire alla persecuzione dell’eresia ariana s’erano rifugiati a Roma, Marcella apprese la vita di sant’Antonio, l’esistenza dei monasteri di Pacomio nella Tebaide e la regola delle vergini e delle vedove. Affascinata da questa vita, la casa di Marcella divenne una specie di monastero, dove entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni basate specialmente sulla sacra Scrittura. Per meglio comprendere il significato della Sacra Scrittura Macella imparò l’ebraico e sottopose a san Girolamo molte questioni esegetiche. Grazie alla sua preparazione dottrinale potè – unico esempio tra le donne – intervenire pubblicamente nella polemica contro gli eretici origenisti, difendendo le dottrine ortodosse.
Di lei scrisse san Girolamo: «Il mondo pagano restò confuso di fronte a una simile donna, poiché a tutti fu manifesto che cos’era effettivamente la vedovanza cristiana. Incredibile era il suo amore per la divina Scrittura; non si stancava di cantare: “Ho nascosto nel mio cuore le tue parole, Signore, per non peccare contro di te”. Capiva che la meditazione non consiste nel ripetere i testi della Scrittura, ma nell’agire secondo la massima dell’apostolo: “Sia che mangiate, sia che beviate, o qualsiasi altra cosa facciate, fate tutto a gloria di Dio” (1 Cor 10,31)».
Questa santa vedova, che rimase nella sua casa pur non scegliendo il mondo degli uomini ma quello di Dio, che seppe far fruttificare la Parola meditata, preferendo piacere a Dio più che agli uomini, ci aiuti a vivere in questo mondo, egoista ed edonista, meditando fedelmente la Parola di Dio e facendo scelte evangeliche, nella piena fiducia di quanto ci ha detto Gesù: «Abbiate fede, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).