L'esposizione d'arte, tra le più importanti al mondo, sarà visitabile fino al 24 novembre 2024. Il tema scelto invita a riflettere sulla presenza di stranieri in ogni angolo del mondo e sul senso di estraneità che molti possono provare dentro di sé. Con 88 Paesi partecipanti, tra cui 4 alla loro prima apparizione, la Biennale promette di essere un'esperienza vivace e inclusiva da non perdere.
Qualcuno la descrive come un’esposizione internazionale d’arte, ma è molto di più: è un viaggio durante il quale puoi dialogare con persone da tutto il mondo usando un’unica lingua, quella della creatività. I miei pregiudizi sulla Biennale di Venezia (chissà quante cose strampalate e incomprensibili ci saranno) si sono sgretolati davanti al caleidoscopio di colori sulla facciata del padiglione centrale. Il murale, che sfoggia audaci tinte tropicali, è stato realizzato dal collettivo Mahku, il movimento degli artisti Huni Kuni, cioè una popolazione amazzonica che abita in una zona tra il Brasile e il Perù. E proprio dall’America Latina proviene il curatore della 60ª Biennale d’Arte di Venezia: si chiama
Adriano Pedrosa, è brasiliano ed è il primo curatore che vive e lavora nel Sud globale.
Stranieri ovunque: un tema cruciale in Europa
rIl titolo di questa edizione 2024, «Stranieri ovunque», può essere inteso in più modi. Può significare che ovunque si vada e ovunque ci si trovi, si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. Inoltre, al di là di dove abitiamo, a volte anche noi, nel profondo, ci sentiamo stranieri a noi stessi. E, nel sito della Biennale, Pedrosa aggiunge: «Si può anche pensare a questa espressione come a un motto, a uno slogan, a un invito all’azione, a un grido di eccitazione, di gioia o di paura: “Stranieri Ovunque!” E oggi assume un significato cruciale in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo, dal momento che nel 2022 il numero di migranti forzati ha toccato l’apice (con 108,4 milioni secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e si presume che nel 2023 sia aumentato ulteriormente».
Varcando la porta del padiglione centrale nei Giardini della Biennale si possono ammirare le varie opere d’arte esposte, entrando in un dialogo silenzioso con artisti di tutto il mondo: «Biennale Arte 2024 punta i riflettori su artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, emigrati, esiliati o rifugiati – spiega Pedrosa – in particolare quelli che si muovono tra il Sud e il Nord del mondo. E qui i temi chiave sono migrazione e decolonizzazione».
Archie Moore, artista indigeno australiano, ha trasformato il padiglione Australia in un gigantesco albero genealogico disegnato interamente a mano: le sue connessioni comprendono oltre 2400 generazioni di aborigeni coprendo un arco temporale di 65mila anni.
Foto di Andrea Rossetti
A sinistra Adriano Pedrosa, primo curatore dell'esposizione internazionale di Arte originario dell'America Latina; a destra Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Fondazione Biennale.
Foto di Andrea Merola
Di solito la facciata del padiglione centrale nei Giardini della Biennale di Venezia è bianca. Quest'anno è ricoperta da un grande murale realizzato da MAHKU, un
collettivo di artisti brasiliani. Qui viene dipinta la storia di kapewë pukeni (il ponte-alligatore), il mito che spiega lorigine della separazione tra popoli del continente
asiatico e quello americano.
Foto di Luisa Capparotto
Il padiglione dello Zimbabwe espone opere di giovani artisti che trasformano materiali usati (vecchi spazzolini, tastiere di computer, stoffe, zip, bottoni) in installazioni colorate che vogliono far re-immaginare un potenziale futuro, richiamando all'importanza della cultura tradizionale africana.
Foto di Chiara Bonetto
Il padiglione dello Zimbabwe espone opere di giovani artisti che trasformano materiali usati (vecchi spazzolini, tastiere di computer, stoffe, zip, bottoni) in installazioni colorate che vogliono far re-immaginare un potenziale futuro, richiamando all'importanza della cultura tradizionale africana.
Foto di Angela Brayham
88 nazioni presenti alla Biennale
Le opere esposte nel padiglione centrale sono solo l’inizio di un percorso ben più ampio: all’interno dei
Giardini della Biennale ci sono altri 29 padiglioni di alcuni Paesi, costruiti in varie epoche a cura delle nazioni espositrici. Poi si può visitare
l’Arsenale, un enorme complesso di cantieri dove si costruivano le flotte della Serenissima, ma che dal 1980 è diventato un luogo di esposizione della Biennale. Presso l’Arsenale si possono ammirare le opere di altri 24 Paesi, tra cui anche l’Italia. E non è finita qui: dislocati
in tutta Venezia, all’interno di palazzi storici, ci sono altri padiglioni espositivi. In totale quest’anno ci sono 88 Paesi presenti negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale o nel centro storico di Venezia. Sono 4 i Paesi presenti per la prima volta alla Biennale Arte: Repubblica del Benin, Etiopia, Repubblica Democratica di Timor Leste e Repubblica Unita della Tanzania.
La scorsa edizione la Biennale ha attirato 880mila visitatori, un’affluenza record di pubblico che scardina il preconcetto secondo cui l’arte contemporanea sia un affare per addetti ai lavori. «Credo che l’arte sia qualcosa a cui tutti debbano accedere» dice
Elena Astolfi, professoressa di Tecniche Pittoriche e Cromatologia, in visita alla Biennale insieme ai suoi studenti dell’Accademia di Belle Arti di Verona. «Penso che la Biennale sia molto importante perché dà la possibilità ad artisti e curatori di parlare di temi sociale in modo forte; è un urlo che si fa sentire con l’arte e dà la possibilità di diffondere messaggi importanti».
Odorama Cities è l'opera di Koo Jeong A, artista sudcoreana, che indaga su come percepiamo e ricordiamo gli spazi, con particolare attenzione al modo in cui i profumi, gli odori e le fragranze contribuiscono a questi ricordi. Le parole chiave del padiglione coreano sono: assenza di peso, infinito, levitazione, immaterialità.
Foto di Chiara Bonetto
Nel padiglione centrale sono esposte le opere di più di 300 artisti, la maggior parte dei quali sono indigeni e sconosciuti al pubblico. Uno di questi è André Taniki, uno sciamano nativo della regione dell'alto Rio Catrimani, nell'Amazzonia brasiliana. I suoi disegni, realizzati alla fine degli anni '70, nascono dal dialogo con lantropologo Bruce Albert e vogliono rappresentare le visioni sciamaniche, entrando nell'universo degli xapiri gli spiriti ausiliari dello sciamano.
Foto di Chiara Bonetto
Le opere esposte nel padiglione dell'Ungheria sono realizzate da Márton Nemes, un artista influenzato dalle sottoculture techno. Il suo progetto Techno Zen è un ambiente multisensoriale: ad ogni opera è abbinata una musica diversa e il contenuto ottico, acustico e tattile si dispiega attraverso gli effetti combinati di luce, colore, movimento e suono.
Foto di Chiara Bonetto
Biennale-Padiglione degli Stati Uniti. Jeffrey Gibson, di discendenza Cherokee, utilizza una miriade di influenze come forma di resistenza all'oppressione: l'uso audace di colori, tessuti, perline fa riferimento a sottoculture popolari, letteratura e tradizioni artistiche globali.
L'arte dà voce agli indigeni di tutto il mondo
Molti degli artisti esposti nei padiglioni nazionali hanno dato voce alle storie di oppressione delle popolazioni indigene. Ad esempio i Paesi Bassi hanno deciso di esporre le sculture realizzate dal
collettivo di artisti congolesi del CATPC (Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise) in collaborazione con l’artista olandese Renzo Martens. Questi artisti, che lavorano in una piantagione un tempo appartenuta a una multinazionale, con le loro opere denunciano lo sfruttamento delle loro foreste e società, causa di una povertà estrema e della distruzione della biodiversità. Anche gli Stati Uniti, grazie all’artista
Jeffrey Gibson, hanno dato voce alla tradizione indigena e queer. Membro della Mississippi Band of Choctaw Indians e di discendenza Cherokee, Gibson mescola la tecnica delle perline, usa i tessuti e motivi geometrici astratti, realizza sculture multimediali e dipinti rifacendosi alle tradizioni delle comunità indigene negli Stati Uniti.
Anche l’artista australiano
Archie Moore mette in scena la concezione del tempo degli aborigeni, disegnando un albero genealogico che comprende 2400 generazioni di nativi australiani nell’arco di 65mila anni.
Un altro primato di questa edizione 2024 è la partecipazione del Papa.
Francesco, primo pontefice ad aver visitato la Biennale, dice: «Vi imploro, amici artisti, immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo. È per questo che quando diciamo “stranieri ovunque”, stiamo proponendo “fratelli ovunque”.»