Il 30 luglio si celebra la giornata mondiale contro la tratta di persone: ancora oggi ci sono 25 milioni di persone trafficate nel mondo, il 30% delle quali sono minori.
Nel 2013 l’Onu ha proclamato il 30 luglio la Giornata mondiale contro la tratta di persone. Lo scopo era quello di sensibilizzare la comunità internazionale sulla situazione delle vittime e promuovere la difesa dei loro diritti. Dopo 7 anni e in piena pandemia, la tratta non si è arrestata, specie nella sua forma più frequente di sfruttamento sessuale di donne e minori, in strada e soprattutto al chiuso.
Parliamo di 25 milioni di persone trafficate nel mondo, secondo i dati pubblicati il mese scorso dal Dipartimento di Stato americano nel Report 2020
Trafficking in persons dove saltano all’occhio l’aumento di giovani “reclute” dai Paesi martorizzati dalla guerra civile e dalle dittature come Venezuela, Columbia e Perù. E in Europa dalla tratta dei più vulnerabili della rotta balcanica, specie di giovanissime bulgare, macedoni, albanesi.
Il 30% delle persone sfruttate nel mondo sono minori. Sempre più di frequente vittime di schiavitù sessuale, nell’industria della prostituzione, nel turismo sessuale e in questo tempo di Covid anche vittime di abusi per la produzione di materiale pornografico.
I più vulnerabili in Europa? Minori e madri
Mariela (nome di fantasia), 24 anni, giovane bulgara che si prostituiva in Emilia Romagna. È rimasta incinta del cliente con cui ha vissuto nel lockdown. E la Comunità Papa Giovanni XXIII sta cercando di sostenerla nella scelta per la vita e per uscire dallo sfruttamento. Come lei nel 2020 in Europa sembrano sempre più numerose le bulgare con una bassa scolarizzazione,
provenienti da villaggi rurali dove è più facile essere adescate e trafficate, che capiscono a stento la lingua del Paese di destinazione.
Arrivano in Italia istruite solo di quelle parole necessarie per farle prostituire e capire che tipo di rapporto vogliono i clienti e il “listino” dei prezzi.
Indifese, non hanno con sé nemmeno mascherine e gel per le mani: trafficanti e clienti han detto loro che in Italia non c’era più il coronavirus ma quando gli operatori della Comunità di don Benzi le incontrano a Rimini, a Modena, a Pescara, volantini informativi alla mano, in più lingue, cercano di sensibilizzarle sull’emergenza sanitaria. E soprattutto ad uscire dalla prostituzione. Qualcuna di loro aveva chiesto anche di rientrare a casa, ignare che il virus si sta diffondendo anche là. Da pochi giorni il governo italiano ha infatti chiuso le frontiere di Bulgaria e Romania.
Nel 2019 la Comunità Papa Giovanni XXIII aveva assistito 111 donne, il 15% con minori a carico, gran parte di loro nigeriane. Oggi invece
sono sempre più giovani madri, durante la pandemia a chiedere aiuto e assistenza. Alcune arrivate da poco dalla rotta balcanica che non si è quasi mai arrestata, lasciando ai nonni il compito di accudire i propri figli. Altre sono rimaste chiuse con le proprie connazionali intermediarie delle reti criminali. Si tratta di bulgare, rumene e anche albanesi. Ma non mancano anche nuovi arrivi dal sud America - prima della chiusura della frontiera – come le donne e i trans del Perù.
Il racconto di una giovane schiava del racket
Bridget, (nome di fantasia) di nazionalità nigeriana, oggi è una giovane mamma assistita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII in collaborazione con Save the Children. Racconta così i suoi primi giorni in una strada della prostituzione nel Lazio: «Una sera d’inverno è venuto un cliente e mi ha portata in una zona buia. Ad un certo punto, dopo il rapporto, non volendo pagare, mi ha fatto vedere una pistola e un coltello. E mi ha detto:
Decidi tu con quale arma vuoi essere uccisa. Non me lo dimenticherò mai,
avevo solo 17 anni… Mi aveva afferrato dalla giacca ma – grazie a Dio – sono riuscita in fretta a sfilarmela e, nonostante il freddo che mi gelava, son scappata via di corsa. A casa altre botte dalla mia sfruttatrice perché ero tornata senza i suoi guadagni».
Alla vigilia della Giornata Internazionale Contro la Tratta di Esseri Umani, Save the Children ha diffuso la 10ª edizione del rapporto
“Piccoli schiavi invisibili” denunciando tra l’altro come l’emergenza Covid-19 abbia messo a rischio i percorsi di fuoriuscita e autonomia delle vittime, specialmente quelle con figli.
L’appello di Save the Children
«Riteniamo che sia indispensabile essere al fianco di giovani donne e dei loro figli per garantirgli un futuro libero da ogni forma di sfruttamento e di ricaduta nelle reti di sfruttatori – ci conferma
Viviana Coppola referente del
Punto di contatto antitratta e sfruttamento di Save The Children Italia.
Sono tantissime infatti le minori e giovani adulte che sono state reclutate, trasportate, trasferite sia all’interno che all’esterno di un Paese, con lo scopo di trarre profitto dal proprio sfruttamento.
E anche i loro figli rischiano di essere invischiati in diverse forme di sfruttamento, abusi e violenze.
Questi nuclei necessitano di una presa in carico integrata sul lungo termine, tanto la mamma quanto il proprio bambino hanno necessità di supporto abitativo, lavorativo, educativo il minore e sulla genitorialità la madre. Le ex vittime di tratta sono doppiamente vulnerabili. Quando hanno un lavoro, hanno bisogno di conciliarlo con i bisogni di un bambino, senza considerare i costi, la questione documentale che spesso impedisce l’iscrizione al nido pubblico di un bambino fintanto che non riceva la residenza.
Save the Children mediante il progetto
Vie d’Uscita dal 2012 sostiene minori, ragazze e giovani donne che sono cadute sin da piccolissime nelle reti criminali. Nel corso del lockdown ci siamo resi conto che molte giovani donne, uscite dallo sfruttamento negli scorsi anni, erano in difficoltà e avevano bisogno di aiuto. Lo scoppio della
pandemia COVID-19 ha avuto infatti ricadute significative anche sul fenomeno della tratta di esseri umani ovunque, anche in Italia, impattando soprattutto su donne e bambini. Ha reso dunque indispensabile un intervento a supporto delle giovani donne e dei loro figli».
Per contrastare lo sfruttamento in Italia, multe come nel nord Europa
La Comunità Papa Giovanni XXIII non abbassa la guardia: durante e dopo il lockdown ha continuato a promuovere sui social e sui media, la Campagna antitratta
Questo è il mio corpo, avviata nel luglio di quattro anni fa, per chiedere al governo una legge nazionale che preveda all’interno della Legge Merlin l’introduzione delle
multe per i clienti e percorsi di sensibilizzazione. «La petizione online ad oggi ha ottenuto la firma di quasi 32.000 cittadine e cittadini che credono che nessun essere umano può essere schiavo di un altro. Tantomeno i minori e le madri che hanno ancor più bisogno di protezione e di vedere valorizzata la propria dignità. Ora l’obiettivo è arrivare a 50.000 firme!» – come si legge nel
profilo Fb della Campagna. Nel nord Europa, la Francia in testa, si va diffondendo sempre più quel modello, nato in Svezia nel 1999, che considera il cliente corresponsabile di tratta e sfruttamento nell’industria della prostituzione e per questo, attraverso la multa, lo intercetta, gli dà un limite e lo obbliga a percorsi di riabilitazione perché cambi i suoi comportamenti abusanti.