Per capire perché le ultime parole del Papa sulla pace e sulla necessità di un negoziato abbiamo sollevato un polverone di polemiche, è necessario tener presenti alcuni dati di contesto che influiscono non poco sul modo con cui vengono recepite le parole del pontefice.
Il primo dato è questo: ci sono governi e influenti e potenti settori dell’opinione pubblica che vorrebbero ridurre il ruolo del Papa a quello di “cappellano dell’Occidente”. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ne parlò esplicitamente anche il cardinale Pietro Parolin in una intervista a Limes.
Con l’espressione “cappellano dell’Occidente” si intende che nell’attuale divisione del mondo, da una parte l’Occidente, dall’altra la Russia, che in parte ricalca quella della guerra fredda senza il motivo del comunismo, la Chiesa cattolica dovrebbe appoggiare senza se e senza ma le ragioni del mondo libero. Faccia pure i suoi appelli per la pace, sappia però il Papa che le ragioni stanno tutte da una parte e nemmeno lui può prescinderne.
Si vuole, insomma, ritagliare per il Papa un ruolo simile a quello che di fatto ricopre il patriarca Kirill nella Russia, del tutto allineato al Cremlino. E quando il Papa sfugge a questo imbrigliamento, proclamando le ragioni assolute della pace sulla guerra, partono gli attacchi e le critiche, che a volte trovano appoggi anche in settori del mondo cattolico. Qualcosa di analogo era accaduto a Giovanni Paolo II quando non accettò di benedire i carri armati di Bush che invadevano l’Iraq.
Il secondo dato di contesto è il sistema dei mass media. Francesco ha rilasciato un’intervista alla Radiotelevisione svizzera sul valore del colore bianco, e in questo contesto gli è stata posta questa domanda:
In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?
E il Papa ha risposto:
«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio con la guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, per esempio … Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio».
L’intervista non era sul tema della pace e della guerra, ma è stata posta anche questa domanda, con il riferimento al simbolo della bandiera bianca, al quale Francesco ha risposto volendo sottolineare il valore del negoziato, senza un’analisi completa e articolata.
La frase, estrapolata da ogni contesto, ed anche da tutte le precedenti prese di posizione del Papa in questi due anni di conflitto, è stata sufficiente per far scoppiare la polemica.
È un sistema che in Italia accade spesso con le interviste ai politici nostrani. Basta mezza frase, scollegata dal resto di un ragionamento, per produrre dichiarazioni su dichiarazioni, articoli su articoli, che ad un’analisi seria non avrebbero motivo di essere scritti.
Un equivoco analogo è accaduto per la risposta del papa sul conflitto di Gaza. Nei primi resoconti risultava che Francesco avesse parlato di “irresponsabili” quando invece aveva detto: «E la guerra la fanno due, non uno. I responsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c'è la “guerra-guerrigliera”, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa». Il giornalista di Avvenire, Nello Scavo, ha pubblicato su X (ex Twitter) il video rallentato in cui si capisce benissimo che Francesco ha detto «i responsabili», e non «irresponsabili», con tutt’altro significato.
Tornando alla risposta sulla bandiera bianca, il segretario di Stato Pietro Parolin ha dichiarato al Corriere della Sera: «Come ricordato dal direttore della sala stampa vaticana, citando le parole del Santo Padre del 25 febbraio scorso, l’appello del Pontefice è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione. Non bisogna mai dimenticare il contesto e, in questo caso, la domanda che è stata rivolta al Papa, il quale, in risposta, ha parlato del negoziato e, in particolare, del coraggio del negoziato, che non è mai una resa. La Santa Sede persegue questa linea e continua a chiedere il “cessate il fuoco” — e a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori — e quindi l’apertura di trattative. Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite umane che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo».
Al Papa, in questa sfortunata risposta, interessava il valore della parola negoziato, tutto il resto appare strumentale.
Secondo gli irriducibili critici di Francesco, la precisazione del cardinale Parolin sarebbe però la conferma che la risposta di Francesco alla Radiotelevisione svizzera è stata come minimo imprudente. E poiché non è la prima volta che accade, sarebbe bene che si ponesse un freno a questo diluvio di interviste che finiscono per minare il prestigio internazionale della Santa Sede.
Sono critiche che più che il pontefice chiamano in causa chi gestisce la comunicazione vaticana.
Un tempo l’intervista al Papa era uno scoop epocale, con Francesco è diventata prassi frequente. E in un’intervista è facile essere imprecisi, specialmente quando la risposta riguarda una questione diplomatica o un problema dottrinale. È probabile che lo staff di comunicazione suggerisca al Papa come comportarsi, come è altrettanto probabile che Francesco, volendo essere generoso con chi lo intervista, se ne dimentichi.
Resta il fatto che spesso le polemiche usano le possibili imprudenze come un pretesto, e rivelano invece la verità del punto da cui siamo partiti: Francesco diventa “antipatico”, anche a chi a volte lo osanna, quando rifiuta di essere ridotto a cappellano dell’Occidente.