Durante un lungo viaggio in treno, i volti delle persone sedute al mio fianco mi incuriosiscono, così ho conosciuto le incredibili storie di speranza di Marta e Andrea.
Ancora una volta sono sul treno, di ritorno da Roma verso Ferrara. Guardo i miei compagni di viaggio. Due distinti signori, in giacca e cravatta, con l’accento veneto, lavorano al computer; un giovane guarda un film in napoletano; una signora legge il libro “Nel cuore della famiglia” di don Oreste Benzi; un’altra signora sfoglia la rivista “Colf e Badanti”. Siamo nel vagone silenzio e non possiamo parlare. Chissà chi sono queste persone? Quali problemi portano in cuore, quali affetti, quali sogni? Quale sarà stata la loro vita? Quale la loro posizione politica, il loro tifo sportivo, la loro religione? Chissà cosa pensano della Chiesa che rappresento con l’abito che indosso? Il treno corre veloce. Fuori sta tramontando il sole. Un’altra giornata sta finendo per me e per questi sei “amici”. Forse arrivano da Roma o tuttalpiù da Napoli, forse sono fiorentini o bolognesi che tornano a casa come me. Chi li starà aspettando? Chi incontreranno nelle loro case? Siamo sei esseri umani, con uguale dignità e diritti, ma sicuramente molto diversi. Stiamo facendo la stessa cosa (viaggiando in treno), nello stesso vagone eppure siamo così diversi per età, biografia, formazione, origine. La diversità non è una stranezza, ma la normalità. Noi tutti, normalmente, siamo diversi. Vivere significa incontrarsi tra diversi. La vita è l’arte dell’incontro. Dove la diversità è pane quotidiano. E l’incontro è la sfida di base: fra uomo e donna, fra genitori e figli, fra credenti e non credenti, fra italiani e stranieri.
Sono Marta, vengo da Aleppo, sono cristiana. Gli amici della Caritas ci hanno preso per mano e ci hanno insegnato a camminare.
Accetto la sfida, mi avvicino alla signora mentre imperterrita sfoglia la sua rivista, la guardo negli occhi e la invito a prendere un caffè alla carrozza 3, dove è presente l’area ristoro. La donna davanti ad una tazzina di caffè si presenta:
«Sono Marta (nome di fantasia), vengo da Aleppo, sono cristiana. Penso molto spesso alla mia città. Con Subhi, mio marito, non volevamo lasciarla, abbiamo resistito fino al 2016. Avevamo la nostra vita tranquilla lì: le famiglie, il lavoro, gli amici, i nostri sogni erano lì. Speravamo che la guerra finisse invece peggiorava di giorno in giorno. Uscivamo di casa e non sapevamo se saremmo tornati. Abbiamo visto morire vicini e amici, le bombe cadevano nell’ultimo periodo come una pioggia, tutte le persone urlavano, le sirene, i morti, i feriti, la distruzione ovunque, era un incubo. La nostra piccola Pamela era appena nata, aveva un mese, e per salvare lei abbiamo deciso di lasciare tutto e partire. Abbiamo sentito parlare dei Corridoi Umanitari, ci sembrava un sogno: la possibilità di vivere in pace, tranquillità, lavorare e impegnarci nella società, la possibilità per Pamela di vivere una vita “normale”. Quando abbiamo fatto il primo colloquio, finalmente vedevamo un po' di luce , si era riaccesa la speranza. Siamo arrivati in Italia pochi giorni prima del Natale, veramente per noi era Natale. Tutto era diverso: fin dall’arrivo. Le persone ci sorridevano, ci accoglievano con i fiori, erano preoccupati per noi. Nei mesi seguenti abbiamo iniziato a scoprire Bologna, a imparare la lingua, mia figlia ha iniziato subito la scuola. Non ci siamo mai sentiti soli, gli amici della Caritas ci hanno preso per mano e ci hanno insegnato a camminare. Hanno fatto la cosa più bella del mondo: ci hanno dato speranza, la cosa fondamentale per chi ha vissuto nel buio della guerra. Tutto questo è stato possibile grazie al progetto “Corridoi Umanitari” totalmente finanziato con i fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica. Oggi siamo sereni, mio marito lavora in una ditta di pulizie e io lavoro con una signora anziana. Pamela è felice di studiare e di avere gli amici della scuola. Abbiamo pensato di restituire il dono che abbiamo ricevuto e allora da qualche settimana ci siamo impegnati alla Caritas di Piazzetta Prendiparte n.4. Marta è costretta a salutarmi, il treno è arrivato a Bologna.»
«Sono Andrea, abito da un paio di settimane in una comunità di accoglienza»
Io ritorno a prendere posto in attesa della prossima fermata. Finalmente arriviamo a Ferrara. È tardi e a scendere insieme a me c’è anche quel ragazzo che fino a quel momento non aveva staccato lo sguardo dal suo tablet. Quel film dev’essere stato molto interessante! Lo saluto col sorriso e gli chiedo in quale zona abbia casa a Ferrara. Con un po' di timore si presenta. «Sono Andrea (nome di fantasia) e abito da un paio di settimane in una comunità di accoglienza nel basso ferrarese. Una struttura nata una trentina di anni fa e che oggi accoglie circa trentacinque persone fra disoccupati, immigrati, persone con problemi di varia natura. Io sono un un’ex garzone napoletano. Ho 26 anni, gli ultimi 10 passati a vendere al mercato della Pignasecca. Dopo il Covid, la crisi economica, un susseguirsi di contratti sempre più brevi e sottopagati, infine una brutta esperienza con un datore di lavoro che non mi ha pagato per mesi e che mi ha portato alla disoccupazione. Ho iniziato ad avere gravi attacchi di ansia. Volevo rispolverare il sogno da ragazzino, quello di fare il pasticciere, ma non ho trovato nessun corso specifico che potessi permettermi: erano tutti a pagamento e costavano migliaia di euro, che non avevo. Nessun familiare a cui chiedere aiuto, ma navigando il web - in una notte insonne - scopro che a Ferrara c’è una struttura di accoglienza in cui fanno anche corsi per inserimento lavorativo. I corsi sono iniziati da pochi giorni, grazie al contributo dei fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica. Si tratta di un progetto che coinvolge una rete di pasticceri della zona, volontari e giovani disoccupati che sognano un lavoro tramite l’impegno e la formazione nella preparazione di dolci e nella realizzazione di piccoli catering.»
Che dire al termine di questo viaggio? Destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica non è un semplice adempimento burocratico o un dovere, ma è un gesto d’amore, è infondere speranza nell’cuore dell’umanità.