I vescovi escono dal silenzio e invitano alla trasparenza e alla pace. Tanti i Paesi latinoamericani che riconoscono Gonzalez come presidente, dopo i risultati definiti "schiaccianti" anche dagli Usa.
«Il popolo venezuelano non è solo!», ha ricordato domenica l'arcivescovo panamense José Domingo Ulloa Mendieta unito in preghiera con le Chiese del continente sudamericano. «La verità e la trasparenza prevalgano in questi tempi di oscurità e incertezza». Gli fa eco monsignor Carlos Castillo, vescovo di Lima in Perù: «Quando incontriamo un fratello o una sorella venezuelani, diamo loro lo stesso abbraccio che abbiamo dato a ciascuno di loro dal giorno in cui sono arrivati nelle nostre comunità. Il grave attacco alla libertà e alla dignità umana non può continuare». Ieri diverse diocesi, in America Latina, hanno espresso così la loro solidarietà alla popolazione del Venezuela, di fronte alla repressione del regime, che continua dopo le contestate elezioni presidenziali e la proclamazione dell'avversario di Maduro, come vincitore. Una Giornata di preghiera per la pace, la giustizia e la democrazia in Venezuela incoraggiata dallo stesso vescovo di Caracas che aveva rotto il silenzio la scorsa settimana invitando alla preghiera e alla pace a cui ha fatto seguito il monito di mons. Bravo, vescovo di Petare: «Noi cristiani siamo chiamati a essere luce! Stiamo raccomandando in tutti i modi che non sia dato spazio a sentimenti di vendetta, ad azioni violente».
Migliaia sono infatti i venezuelani scappati in queste settimane a causa del clima violento che attraverso il Paese. Basti pensare che solo in Brasile dal 28 luglio, giorno delle elezioni, ad oggi sono entrati 420 venezuelani. E il numero anche nei Paesi vicini continua ad aumentare. Secondo la ong Covavic la repressione conta ad oggi 1.200 arresti, 14 esecuzioni extragiudiziali, 168 detenzioni arbitrarie e 16 sparizioni forzate.
L'escalation è da giorni peggiorata, dopo che
Roland Carreño, coordinatore nazionale del partito Voluntad popular,
è stato arrestato a Caracas e portato in una destinazione sconosciuta.
Il Sindacato nazionale dei lavoratori della stampa (Sntp) è stato il primo a dare la notizia, perché Carreño è anche un giornalista, «già finito ingiustamente in carcere con l'accusa di "terrorismo e cospirazione" contro lo Stato dal 2020 al 2023». Dopo aver trascorso 3 anni nel carcere El Helicoide, il quartier generale del Servizio d'Intelligence Nazionale Bolivariano, Carreño era stato rilasciato il 19 ottobre scorso.
Chi parla, rischia la vita e la gente è sempre più povera
I “colectivos” (gruppi paramilitari) girano per i negozi e i locali obbligandoli ad aprire, così come i lavoratori del settore dei trasporti che sono minacciati se non ritorna tutto alla normalità.
Minacce, intimidazioni, estorsioni, ricerca dei complici dell'opposizione sono tra i metodi utilizzati dal governo secondo quanto emerge dai racconti di chi, in assoluto anonimato, resta nel Paese a fianco della gente, dei più indifesi e dei più poveri ma non può esporsi in alcun modo pena l'arresto. «Mi chiedi se c'è il terrore di fare denunce? Certo! Lo fa solo chi ha una possibilità sicura di fuggire dal Paese. Ma nessuno di noi, impegnati da anni al fianco delle fasce più emarginate e fragili, ha intenzione di lasciare solo il popolo e andarsene». I diritti umani inviolabili in questo angolo dell'America Latina sembrano essere dimenticati da tempo. Non a caso
dal 2014 ad oggi circa 8 milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese. Secondo i dati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti, il tasso di povertà in Venezuela è spaventoso:
l'82% della popolazione vive in condizioni di povertà e il 53% in condizioni di estrema povertà a causa dell'iper-inflazione del collasso dei servizi pubblici.
«La situazione sanitaria, a mio parere, è il problema sociale più grave in questo momento insieme alla questione dei salari insufficienti, l'insicurezza quotidiana, non solo per la criminalità diffusa, ma anche per la forte corruzione delle autorità che dovrebbero invece proteggere il popolo. Tutto è negoziabile in Venezuela, purtroppo questo avviene anche all'interno della Chiesa. Ed è molto triste doverlo riconoscere». Continua la denuncia accorata di questa giovane donna che instancabile persevera nel suo impegno sociale in Venezuela, sebbene certi giorni deve garantire alle persone che accudisce solo un pasto al giorno, e le cure mediche minime.
Oltre il 72% dei venezuelani non possono accedere ai servizi sanitari pubblici quando ne hanno bisogno.
Carenza di medicinali, mancanza di elettricità, deterioramento delle infrastrutture, aree rurali prive di ospedali e ambulatori sono all'ordine del giorno. La criminalità organizzata rimane un problema più grave che colpisce soprattutto i giovani, in particolare nelle regioni di confine dove gruppi come l'Esercito di liberazione nazionale e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia impongono il loro controllo sulle popolazioni locali con estorsioni, minacce, esecuzioni sommarie.
Le chiedo quindi se c'è speranza per il futuro con il sostegno dei governi al rinnovamento politico o la guerriglia di queste settimane ha interrotto qualunque dialogo democratico. «La guerra in qualche modo già esiste da anni, popolo contro popolo, arresti diffusi, sono pure scomparsi alcuni giovani. Sappiamo che non è possibile, che non ci saranno negoziati con l'estero e che quelli che compongono i vertici del potere politico raramente guardano ai veri bisogni del popolo.
L'unica via per la pace tra i venezuelani deve partire da noi stessi: dobbiamo ogni giorno imparare a guardarci come fratelli, ripartire dai valori comuni, da principi di solidarietà. E invece quando si comincia a parlare di politica, nessuna parte vuole cedere». Il dialogo democratico non parte semplicemente dall'alto. La nuova pagina di storia non la scriveranno i leader di turno da soli. Per questo il richiamo alla preghiera e all'unità del popolo nel quotidiano resta la sfida decisiva.