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8 Giugno 2019

«Prostituirsi non è mai un atto totalmente libero»

Secondo la Corte Costituzionale anche le escort d'alto bordo vengono prostituite come tutte le altre
«Prostituirsi non è mai un atto totalmente libero»
Foto di Marco Tassinari
«Oggi è una grande vittoria per quanti si battono per la liberazione delle ragazze vittime di tratta. Al Parlamento e al Governo diciamo: rendete più dure le pene per magnaccia e clienti», Giovanni Paolo Ramonda
Aveva messo in piedi un’agenzia di intermediazione che organizzava festini nelle residenze dell’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. 26 giovani donne selezionate per offrire prestazioni sessuali tra il 2008 e il 2009 a uomini di potere in cambio di denaro. Era questo il nuovo business di Gianpaolo Tarantini, ex imprenditore barese fallito nella precedente attività di commercio di protesi dentarie, e del suo braccio destro, la cosiddetta “ape regina” Sabina Beganovi, attrice tedesca di origine bosniaca. Niente a che vedere – per i suoi difensori – con il reato di reclutamento e induzione alla prostituzione previsti dalla Legge voluta dalla senatrice Lina Merlin nel 1958.

Ma la Corte Costituzionale conferma. “Prostituirsi non è mai un atto totalmente libero” e quindi agenzie di intermediazione e manager anche di escort vanno puniti.

Un processo lungo dieci anni

Tutto inizia nel 2009 con le registrazioni fatte da Patrizia D’Addario durante i festini per il cavaliere, per lo più organizzati da Tarantini e Beganovi. L’ex escort barese racconta alla Procura di Bari delle serate con numerose giovani escort della cosiddetta "scuderia di Gianpi".
La sentenza del 13 novembre 2015 dispone condanne per il reato di reclutamento di prostitute: 7 anni e 10 mesi per Gianpaolo Tarantini che procurava le giovani escort, un anno e 4 mesi per Sabina Beganovi; 3 anni e 6 mesi per Massimiliano Verdoscia e 2 anni e 6 mesi per il pr milanese Peter Faraone, entrambi amici di Tarantini. Quattro condanne e l'invio degli atti alla procura perché valuti se contestare il reato di intralcio alla giustizia a Silvio Berlusconi e quello di falsa testimonianza a cinque delle ragazze che parteciparono alle 'feste eleganti' nella Villa Grazioli di Roma e ad Arcore e che avrebbero mentito ai giudici baresi.

Tarantini, nel corso del processo, nega che Berlusconi fosse a conoscenza del fatto che le ragazze fossero escort. Si apre dunque un secondo filone processuale. Berlusconi viene indagato dai pm di Bari perché avrebbe fornito a Tarantini, tramite l'ex direttore de L'Avanti Valter Lavitola, gli avvocati, un lavoro e centinaia di migliaia di euro per mentire sulla vicenda delle escort. Il 16 novembre 2018 il gup dispone il rinvio a giudizio dell’ex premier. Ma lo scorso 4 febbraio 2019, accogliendo una richiesta della difesa, il giudice monocratico ha rinviato a dopo le elezioni politiche il processo a Silvio Berlusconi. L’udienza è rimandata al 17 giugno 2019, nell’ex sezione distaccata di Modugno (Bari).

La Merlin è incostituzionale?

Nel dicembre del 2017, nel corso della prima udienza del processo ‘ Escort' davanti alla Corte di Appello viene messa in discussione la costituzionalità della legge Merlin. Il mestiere di Tarantini era ingaggiare libere professioniste del sesso e non reclutare per indurre alla prostituzione donne "spogliate dalla loro dignità e libertà". Per questo i suoi avvocati sottopongono ai giudici della Corte una eccezione sulla legittimità costituzionale di parte della legge Merlin.

Le escort individuate per le feste del cavaliere, maggiorenni e consenzienti, rappresentano secondo i difensori una "figura sociale completamente diversa dalla prostituzione da strada", perché la "prostituzione volontaria è un crimine senza vittime". Addirittura in questi sessant’anni, il cambiamento sociale e i diritti conquistati dalle donne hanno portato ad un "graduale passaggio in giurisprudenza dell'oggetto della tutela, dalla moralità pubblica alla libertà nell'esercizio del meretricio". E perciò se la prostituta è libera di esercitare la propria attività, ne è discriminata se non può essere supportata da chi la ingaggi o da chi possa pubblicizzarla.

Non è così per il sostituto Procuratore generale di Bari, Emanuele De Maria, che si oppone alla eccezione di incostituzionalità di parte della Legge Merlin sostenendo che "Chi si prostituisce in cambio di denaro non lo fa mai volontariamente, ma anzi rinuncia alla propria libertà all'autodeterminazione sessuale". Perché nel sesso a pagamento chi paga decide anche modalità e tempi delle prestazioni e non chi vende, tantomeno in contesti di potere, nelle feste di alto bordo, in cui tutte le donne selezionate dovevano garantire la massima riservatezza su luoghi e persone coinvolte.

La mobilitazione delle femministe: penalizziamo papponi e clienti

Nel febbraio 2018 la Corte di Appello accoglie l’istanza dei difensori, ritenendo legittimo un rinvio alla Consulta che dovrà decidere sulla legittimità costituzionale della legge Merlin nella parte in cui prevede la punibilità del reclutamento ai fini della prostituzione anche quando si tratta di donne che “scelgono liberamente e volontariamente di prostituirsi”. Inizia in tutta Italia il movimento di protesta di numerose organizzazioni femministe e associazioni impegnate nella protezione delle vittime di sfruttamento della prostituzione.

Facendo appello alla Risoluzione Honeyball del Parlamento europeo «una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana e i diritti umani” proponendo l’adozione in Europa del modello nordico che punisce i clienti e promuove programmi di fuoriuscita delle donne».

Attraverso l’hashtag #iosonoLinaMerlin, ripetono sui social e in convegni pubblici che la Legge Merlin non si tocca perché ha abolito «lo sfruttamento legalizzato dei corpi delle donne, penalizzando papponi e tenutarie e privando gli uomini della totale legittimazione del loro essere “clienti” ovvero stupratori a pagamento dei corpi delle donne».

Il 5 marzo 2019 a Roma la Corte costituzionale si riunisce per decidere se è reato il reclutamento e il favoreggiamento di prostitute volontarie. Otto associazioni impegnate nella difesa delle donne chiedono di poter essere ascoltate perché la prostituzione non sia considerata un lavoro, tra cui la Rete per la parità, Unione Donne in Italia (Udi), Salute Donna, Differenza Donna. 

Non la vedono così invece le fondatrici del Comitato per i diritti delle prostitute che da 40 anni chiedono l’abolizione del reato di favoreggiamento della prostituzione (che è diverso da quello di sfruttamento) perché causerebbe l’isolamento delle sex workers. Se il lavoro sessuale è un lavoro come altri perché non garantire la libera impresa di soggetti consenzienti? E di essere supportate da manager e agenzie di intermediazione.

La decisione della Corte: punire chi agevola la prostituzione è legittimo

Con la sentenza n. 141 depositata ieri, la Corte Costituzionale spiega vanno sempre tutelati i diritti fondamentali delle persone vulnerabili e la dignità umana. I rischi insiti nella prostituzione sono troppo alti, anche quando la scelta di prostituirsi appare libera, rischi per l'integrità fisica e la salute cui ogni donna – anche l’escort - si espone nel momento in cui si trova a contatto con il cliente. E rischio anche di non riuscire più ad uscire da un sistema economico in cui il diritto del cliente è al di sopra della possibilità di autodeterminazione sessuale della donna, in quanto ha pagato.

Nella Legge Merlin il soggetto debole del rapporto è la donna che si prostituisce e per questo non è punita. La Corte costituzionale ha spiegato che l'articolo 2 della Costituzione, nel riconoscere e garantire i «diritti inviolabili dell'uomo», si collega all’articolo 3, secondo comma, che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali al «pieno sviluppo della persona umana».

La libertà sessuale è un diritto che è in relazione alla tutela e allo sviluppo del valore della persona, e di una persona inserita in relazioni sociali. La prostituzione, però, non rappresenta affatto uno strumento di tutela e di sviluppo della persona umana. Né, secondo la Corte costituzionale, viene violata la libertà di iniziativa economica privata per il fatto di impedire la collaborazione di terzi all'esercizio della prostituzione in modo organizzato o imprenditoriale. Tale libertà è infatti protetta dall'articolo 41 della Costituzione solo in quanto non comprometta valori preminenti, quali la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

Esultano le associazioni che tutelano le vittime di sfruttamento della prostituzione tra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII impegnata dal 1996 al fianco delle donne prostituìte che considera la decisione di ieri: «una pietra tombale su ogni proposta di regolamentazione», come ha dichiarato il Presidente Ramonda.

Ma sarà davvero finita l’era dei nuovi papponi dell’industria del sesso? Se il Ministro dell’Interno indifferente alle motivazioni date dalla Corte Costituzionale, ma non al giro di affari di 4 miliardi di euro derivati dalla prostituzione, ribadisce che “sarebbe meglio riaprire le case chiuse come nei paesi civili”, è troppo presto per cantar vittoria.