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29 Agosto 2024
Ultima modifica: 29 Agosto 2024 ore 09:48

Ius scholae, 900 mila studenti lo attendono

Se ne parla da anni, ma finora senza risultato. Il parere del legale esperto di diritti umani.
Ius scholae, 900 mila studenti lo attendono
Foto di Alina (generato con IA)
Vivono in Italia, vanno a scuola in Italia, parlano italiano (e spesso non conoscono altre lingue), eppure l'Italia non li riconosce come propri cittadini. Ecco perché è urgente introdurre lo ius scholae.
Da tempo politica, giuristi e Tribunali si sono occupati della legge sulla cittadinanza italiana (L.91/92). La legge del 1992 infatti nel corso del tempo non ha mancato di mostrare aspetti di irragionevolezza e anacronismi. In particolare un’importante riflessione riguarda la questione dell’accesso alla cittadinanza da parte dei minori stranieri, tornata di nuovo all’attenzione pubblica proprio in questi giorni.
Già nel corso delle passate legislature erano stati presentati tanti e diversi progetti di riforma relativi a questo aspetto, ma mai arrivati a una conclusione. Il tentativo di maggior successo, per adeguarla alla nuova realtà dei flussi migratori degli ultimi anni, è stato fatto nella XVII legislatura con l’approvazione da parte di un ramo del Parlamento di un disegno di legge che individuava, oltre ad altre modifiche, un’ipotesi di acquisto della cittadinanza in base al cosiddetto ius culturae o ius scholae, legato al completamento dei cicli di studio.
Sostanzialmente si voleva introdurre la possibilità per il minore straniero nato in Italia, o che vi aveva fatto ingresso entro il compimento del 12° anno di età, regolarmente residente, di acquisire la cittadinanza dopo aver frequentato, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici presso istituti di istruzione del sistema nazionale.

Minori stranieri: i vincoli attuali per ottenere la cittadinanza

Il progetto di riforma aveva lo scopo di aprire le maglie molto limitate della legislazione vigente per i minorenni, infatti attualmente si può divenire cittadini italiani durante la minore età solo in pochi casi: nel caso di adozione o solamente quando uno dei genitori, col quale il minore convive, acquisisca la cittadinanza italiana. Unica eccezione riguarda i minori stranieri nati sul suolo italiano che possono richiederla per “elezione” al compimento del 18° anno di età.
Al di fuori delle precedenti ipotesi non è offerta nessuna possibilità al minore straniero nato all’estero di divenire cittadino durante la minore età, cosa che peraltro, al momento, potrebbe riguardare tanti dei circa 900.000 studenti con cittadinanza non italiana nelle classi delle scuole del nostro Paese.

Discriminazione e rischio di conflitto sociale

Questa assenza di opportunità di accesso alla cittadinanza continua ad impedire a giovanissimi che hanno un periodo significativo di vita nel nostro Paese di divenire parte di una comunità politica, lasciandoli anche da maggiorenni in una condizione di precarietà e marginalità rispetto ai loro coetanei italiani (si pensi ad esempio alle gite/esperienze scolastiche all’estero). Oltre ad essere una forma di discriminazione, è anche una mancata valorizzazione di un patrimonio e una risorsa importante, specie in un Paese come il nostro con un livello di invecchiamento tra i più elevati al mondo.
Lo sradicamento sociale che provano quei minori che appartengono di fatto ad una comunità senza una corrispondente appartenenza giuridica può divenire anche drammatico fattore di conflitto sociale; questi ragazzi studiano nelle scuole d’Italia, ne abitano le città e parlano l’italiano, molti di loro non conoscono né hanno mai visto un’altra patria ne conoscono un’altra lingua, ma non possono sentire il Paese proprio ad ogni effetto.
La possibilità di accedere alla cittadinanza è uno strumento importante per l’integrazione, per sentirsi parte di una comunità sociale e per favorire i processi positivi di inclusione. In una visione realistica e politicamente consapevole del fenomeno migratorio, come questione strutturale della nostra società, l’attenzione verso le seconde e terze generazioni è decisiva.
In questo quadro, ben si comprende, perché da tanti anni e ancora in questi giorni si discuta dell’opportunità di modificare la legge del 1992 aprendo per questi giovanissimi nuove prospettive di vita.

La situazione in altri Paesi europei

Del resto negli studi dei giuristi impegnati sul tema emerge come la normativa risulti oramai anche disallineata rispetto alle leggi di altri Paesi europei che adottano forme di ius soli temperato o di acquisizione della cittadinanza attraverso il cd. ius scholae o ius culturae aprendo così vie per i minori.
Infatti, anche se in rapporto alla popolazione residente in Europa ci collochiamo alla quinta posizione dietro a Svezia, Lussemburgo, Belgio e Spagna per le nuove acquisizioni di cittadinanza, purtroppo la nostra normativa è oggettivamente molto più indietro e restrittiva per le opportunità offerte ai minori stranieri.
In Germania può essere registrato come cittadino chi è nato nel territorio tedesco se il genitore vanta almeno otto anni di residenza ed è titolare di un permesso di soggiorno, oppure è residente da almeno tre e possiede un permesso di soggiorno permanente; il medesimo Ius soli temperato da un tempo di residenza regolare dei genitori è previsto poi in Belgio, Irlanda e Portogallo.
Francia e Spagna, hanno invece adottato il cd. doppio ius soli per cui chi nasce nel territorio dello Stato è cittadino se anche uno solo dei genitori è nato in tale territorio (così anche Lussemburgo e Paesi Bassi) mentre in Grecia i bambini nati all’estero e i cui genitori abbiano vissuto in Grecia per 5 anni acquistano la cittadinanza al completamento del primo ciclo di studi.

Non buonismo ma intelligenza

In ogni caso il numero dei bambini stranieri nelle nostre scuole parla da solo e una visione politica davvero lungimirante potrebbe e dovrebbe indurre a scelte proficue e coraggiose. Le nuove generazioni sono il banco di prova della capacità e volontà di accoglienza della nostra società, società che riceve davvero solo nocumento nel continuare a tener fuori dalla porta della cittadinanza legale questi bambini.
Una inversione di rotta da parte del nostro Legislatore, al di là di ogni querelle, calcolo e propaganda politica, non sarebbe buonismo ma intelligenza, convenienza, solidarietà e giustizia intergenerazionale.