Dalla Palestina alla Colombia passando per il Libano; 10 anni di presenza in Albania. Ecco come sostenere il Corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII
Rabia è il suo nome in arabo e significa primavera. Ha i capelli neri, vive in una piccola tenda in uno dei campi profughi più disastrati del Libano.
La sua famiglia viene da Baba Amr, uno dei quartieri di Homs maggiormente devastati dalla guerra e dall’assedio.
Anche Ale vive spesso in una tenda, nello stesso campo. Ale è uno dei tanti volontari che anche in quest’ultimo anno sono partiti con Operazione Colomba, Il corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ecco il suo racconto:
«Rabia vive la sua paralisi, dovuta a meningite. Con i suoi occhi ti racconta il desiderio di vivere, e di comprendere. Attraverso il suo corpo piccolo e fragile urla l’importanza di lottare, e di non lasciare cadere le occasioni al lato del sentiero, perché ciò che trascuri non tornerà. Tramite il suo pianto trasmette la rabbia per le ingiustizie, tutte, in particolare quelle che ha subito la sua gente. Lo voglio ringraziare Rabia, perché mi aiuta ad essere coraggioso, quando sento intorno paura e incertezza, nel momento in cui il senso viene meno, mi riporta nella forza. Mentre lo prendi per mano, lo accarezzi, senti la sua voce, senza suono, che ti parla.
Sua mamma e sua nonna lo avvolgono, in una nuvola d’amore, e gli sussurrano: “Piccolo principe, la tua sposa ti cerca qui fuori", e lui ride, felice…».
Volontariato all'estero in zone di conflitto
I volontari partono dopo un periodo di formazione iniziale diverso a seconda del tempo che spenderanno all’estero nei diversi progetti.
In questo ultimo anno sono stati 89, 58 donne e 31 uomini.
Conclusa la formazione i volontari, a seconda della propria vocazione e degli elementi personali che si sono evidenziate, giovani da tutta Italia partono per i diversi progetti. Il comune denominatore è l’essere “corpo nonviolento di pace”. Dal 1992 Operazione Colomba vive concretamente la nonviolenza in zone di guerra, intervenendo in numerosi conflitti, nei Balcani, in Africa, in America Latina, nel Caucaso, in Medio e in Estremo Oriente. Fino ad oggi sono partite oltre 2000 persone, tra volontari e obiettori di coscienza.
Nel 2019 i volontari si sono impegnati in 4 progetti: Albania, Colombia, Libano, Palestina e Israele.
In Albania il cuore della presenza è stata la vicinanza alle famiglie colpite dalla vendetta di sangue, usanza sancita dal codice orale tradizionale del Kanun, per cui in caso di omicidio di un membro della propria famiglia, c’è la possibilità di ristabilire l’onore perduto uccidendo un familiare del reo. I volontari sostengono le persone nei percorsi di guarigione delle ferite emotive e di rielaborazione del conflitto. In alcuni casi durante le visite le parole dei volontari riescono a rinforzare le decisioni di alcune famiglie che si sono liberate dalle situazioni di faida, per progettare e costruire un futuro di vita.
La presenza in Albania
Altre volte la presenza si è rivelata fondamentale per garantire uno spazio di ascolto in cui incanalare il dolore e la rabbia che nascono dalla perdita di un proprio caro per motivi di vendetta, e per costruire ponti di dialogo tra le parti. Alban, ad esempio, è un giovane uomo a cui hanno ucciso il fratello. Lui si confronta quotidianamente con la pressione negativa di chi lo vuole spingere a vendicarne la morte, e trova nelle visite dei volontari uno spazio neutro in cui esprimere i suoi dubbi e liberarsi dei tormenti interiori, che non riesce a condividere con il resto della famiglia.
Nel corso del 2019, è stata poi portata avanti la Campagna di sensibilizzazione nazionale Kundër Gjakmarrjes (Contro la vendetta di sangue), lanciata il 10 dicembre 2018 in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Dopo 10 anni, all’inizio del 2020, si è chiusa la presenza in Albania. È una decisione che nasce proprio per i risultati positivi raggiunti in questi 10 anni di progetto. La maggior parte delle famiglie “in vendetta” ha migliorato le proprie condizioni di vita. L’attività di monitoraggio verrà portata avanti dai missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII, con le sue strutture di accoglienza e con interventi di solidarietà.
La presenza in Colombia
Dal 2009 i volontari vivono nella Comunità di Pace di San José de Apartadó, nel Nord-Ovest. Nata nel 1997 dalla volontà dei contadini dell’area di continuare a vivere nelle proprie terre senza prendere parte al conflitto e senza reagire con la violenza alle minacce dei vari gruppi armati. Per questa scelta, fino ad oggi sono state assassinate più di 200 persone e nemmeno la firma degli Accordi di Pace ha fatto cessare le violenze.
La presenza dei volontari è necessaria come deterrente a possibili violazioni dei Diritti Umani e per l'accompagnamento emotivo e fisico in città e nelle zone rurali dei membri della Comunità di Pace, a causa della presenza di gruppi armati illegali. I volontari svolgono poi un’importante attività di advocacy.
«In questa comunità di contadini, quasi tutti sono stati costretti almeno una volta allo sfollamento forzato… quante storie ascoltate dalla loro voce, storie a volte interminabili di chi ha dovuto abbandonare tutto e scappare. Carovane di persone in cammino cercando rifugio in altre zone del Paese o nelle grandi città – racconta Silvia, una delle referenti del progetto -. Ho cercato di sentire le loro sofferenze, ho cercato di percepire le loro fatiche, il dolore per la decisione, obbligata, di lasciar tutto e scappare. Non potremo mai comprendere fino in fondo cosa vuol dire sfollare, cosa vuol dire da un momento all’altro essere costretti ad abbandonare tutto. E’ faticoso rimanere al loro fianco ma indispensabile per rimanere coscienti».
Da più di 20 anni la Comunità di Pace ha scelto la non collaborazione con qualsiasi gruppo armato e la resistenza nonviolenta nel territorio per non dover sfollare. Oltre agli accompagnamenti nei villaggi più lontani dal centro della Comunità anche quest’anno i volontari hanno protetto con la loro presenza i contadini durante le attività agricole. La raccolta del cacao e la coltivazione di riso e fagioli sono le fonti di sostentamento della Comunità, e i campesinos sono
continuamente minacciati dai gruppi neoparamilitari.
In questo 2019 il leader della Comunità di Pace, German Graciano Posso, (candidato e sostenuto da Operazione Colomba) ha vinto la ventiseiesima edizione del Premio del Volontariato Internazionale, categoria Volontario dal Sud, promosso da FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani di Servizi Internazionali di Volontariato) dal titolo “Volontari per lo sviluppo sostenibile: cambiamento climatico e resilienza”. Il 30 novembre è arrivato a Roma, con i volontari, per ritirare il riconoscimento ed è stato un momento importante e emozionante.
German ha alle spalle una storia familiare drammatica - 13 familiari tra cui padre e fratello assassinati dalla guerriglia. Nonostante ciò continua ogni giorno a scegliere la nonviolenza, valore che nasce dal riconoscimento della vita, «perché la vendetta porta solo morte, tua e dell’altro… e anche se è un cammino difficile non è impossibile».
La presenza in Palestina e in Israele
Uno dei progetti maggiormente consolidati di Operazione Colomba è quello in Palestina. Dal 2004 è ad At-Tuwani, villaggio palestinese e sud di Hebron. Partendo da qui, i volontari oggi sono presenti anche in altre aree rurali dei Territori Palestinesi, dove sostengono la resistenza popolare nonviolenta che coinvolge sia palestinesi che israeliani attivi nella difesa dei Diritti Umani. I volontari sono impegnati nella scorta a studenti, contadini e pastori palestinesi in situazioni di rischio per proteggerli dalle violenze che subiscono da parte di coloni ed esercito israeliani, nel monitoraggio, documentazione e denuncia delle violazioni dei Diritti Umani.
At-Twani si trova in "area C", cioè sotto controllo civile e militare israeliano. A poche decine di metri dal villaggio ci sono l'insediamento israeliano di Ma'on e l'avamposto di Havat Ma'on, abitati da coloni nazional-religiosi. Questi insediamenti sono in continua espansione, annettono le terre dei vicini villaggi palestinesi, i cui abitanti, perlopiù pastori, sono così costretti a vivere sotto la costante minaccia di violenze (alle persone e alle proprietà). I palestinesi hanno scelto di resistere con metodi nonviolenti per tutelare la propria vita e i propri diritti, riunendosi nel Comitato Popolare delle Colline a sud di Hebron. Grazie alla costante presenza sul territorio, i volontari internazionali di Operazione Colomba fungono da deterrente all'uso della violenza, portano avanti una importante opera di monitoraggio e denuncia delle violazioni dei Diritti Umani (con supporto di documentazione video e report di dati) permettendo così alle persone di svolgere le proprie attività quotidiane. Svolgono inoltre un'azione di sensibilizzazione verso l'opinione pubblica e i media attraverso la divulgazione di report e notizie sulla situazione locale e raccontando l'esperienza nonviolenta della popolazione, a partire dalle azioni del Comitato Popolare; insieme ad associazioni israeliane di tutela dei Diritti Umani favoriscono e appoggiano iniziative di incontro tra le parti.
Nel 2019 Operazione Colomba ha documentato 104 aggressioni e soprusi da parte dei coloni e 120 da parte dei soldati israeliani, 66 arresti e detenzioni arbitrarie, 42 checkpoint e strade interrotte, 451 strutture demolite, 12 villaggi lasciati senza acqua.
La presenza in Libano
Dal 2014 i volontari di Operazione Colomba abitano con i profughi siriani in una tenda nel campo di Tel Abbas, a pochi chilometri dal confine con la Siria. La vita quotidiana insieme permette di comprenderne i bisogni reali e individuare chi può darne soluzioni (Istituzioni, Onu, Associazioni).
La presenza dei volontari aiuta a mediare le tensioni con le forze dell’ordine libanesi e favorisce l’incontro con la comunità locale. Insieme ai profughi, i volontari hanno anche elaborato una Proposta di Pace che chiede il rientro in Siria in zone umanitarie sicure.
Il centro del progetto sono state la condivisione e la vicinanza alle famiglie siriane, soprattutto a quelle più fragili e in difficoltà. L’ascolto delle persone ed il sostegno attivano soluzioni creative ai problemi.
Abbraccio nel campo profughi, fra le persone fuggite dalla guerra in Siria
Foto di Archivio Operazione Colomba
I giovani di Operazione Colomba sono presenti nei campi profughi del Libano, al fianco dei rifugiati siriani
Foto di Archivio Operazione Colomba
Operazione Colomba è presente nei campo profughi di Tel Abbas in Libano dal 2013, a 5 chilometri dal confine con la Siria.
Foto di Operazione Colomba
Operazione Colomba è presente nei campo profughi del Libano dal 2013
Foto di Operazione Colomba
Al campo profughi in Libano
Foto di Operazione Colomba
Un ruolo importante dei volontari è il tramite che essi fanno tra la comunità locale libanese e i siriani del campo profughi. Fondamentale è il fare da scorta ai profughi, accompagnandoli negli spostamenti sulle strade libanesi, verso gli ospedali o uffici pubblici o all’ambasciata italiana. La presenza dei volontari evita arresti o fermi ai checkpoint e permette loro di accedere a cure sanitarie e a pratiche burocratiche che – se fossero soli – non riuscirebbero mai ad ottenere.
Nel 2019 si sono intensificati i Corridoi Umanitari. Nati nel 2016 su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, della Federazione delle Chiese Evangeliche italiane e della Tavola Valdese, in collaborazione a livello locale in Libano con Operazione Colomba – oggi sono l’unica realtà in grado di contrastare la tragedia dei profughi che scappano attraverso il Mediterraneo. I Corridoi Umanitari rispondono a quest’umanità in cammino, per non ritrovarsi ad essere spettatori e complici. Sono la dimostrazione che aprire una via giusta, legale e sicura, che acconsentisse a chi ha bisogno, a chi porta una testimonianza di vita e di coraggio, di trovare un luogo sicuro dove vivere è possibile. “La sfida che ci lanciano i Corridoi Umanitari, e le migliaia di persone e associazioni impegnate nell’accoglienza, nel salvataggio e nella solidarietà via terra e in mare di altri esseri umani, è che in ogni muro ci possono essere fessure, ed è proprio da lì che entra la luce”- racconta Alessandro, referente di Operazione Colomba per i Corridoi Umanitari.
Operazione Colomba, le prospettive
A luglio 2019 quattro volontari della Comunità Papa Giovanni, nel progetto sperimentale Corpi Civili di Pace-Il Conflitto Mapuche, con il supporto di Operazione Colomba, sono partiti per il Cile, per stare al fianco di alcune comunità Mapuche, popolazione indigena nativa. I Mapuche, principale gruppo etnico del Paese, sono fortemente discriminati, è un conflitto ambientale e territoriale. Le terre sono state espropriate per sfruttarne le risorse naturali, e gli abitanti confinati in aree chiuse poco fertili. Lo Stato non ne riconosce l’esistenza e anzi ha sempre cercato di disgregarne le strutture comunitarie tradizionali, adottando politiche che sopprimono la diversità culturale.
I volontari stanno cercando di comprendere le rivendicazioni delle singole comunità Mapuche e le modalità con cui vengono portate avanti, per capire se è possibile e necessaria una presenza stabile.
A novembre 2019 tre volontari di operazione colomba hanno fatto un viaggio in Grecia, al confine con la Turchia, sulle isole di Lesbo, Samos e Chios, con l’obiettivo di conoscere la situazione dei profughi e valutare una possibile presenza di Operazione Colomba. In quest’area decine di migliaia di persone, principalmente afghani e siriani, affidano la breve ma rischiosa traversata nelle mani dei trafficanti. Quando riescono ad evitare i respingimenti turchi finiscono bloccati, a volte per anni, nei campi profughi disumanamente sovraffollati e degradanti delle isole.
I volontari sono espressione di una intera Comunità, sono una possibilità di abitare il conflitto anche per chi non può farlo di persona. Per usare le parole di German della Comunità di Pace: «Operazione Colomba appartiene alla nostra famiglia, è parte di noi. Non solo chi fisicamente è a San Josè a proteggere e tutelare le nostre vite e a fare da osservatore internazionale, ma anche tutti quelli che sono in Italia, che devono restare a casa. Con loro noi non saremo mai soli».
Come sostenere Operazione Colomba
Cosa puoi fare tu? Una donAzione di Pace!
Su Conto Corrente Postale n.12104477
o Bancario - IBAN IT 71 J 08995 24207 000003025261
Intestati a: Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII - Condivisione fra i Popoli ONLUS
Via Valverde, 10 - 47923 Rimini. Causale: Operazione Colomba